Palermo, settembre 2025. Venticinque docenti in una sala troppo calda, il proiettore che sfarfalla. Corso di venti ore su intelligenza artificiale e didattica. A un certo punto, la domanda: possiamo generare video del DNA per le presentazioni?
Ho detto no. Non perché fosse impossibile — Sora esisteva già, Pika pure — ma perché il risultato era inutilizzabile. Cellule che pulsavano come cuori di gomma, mitocondri da clipart, doppie eliche che fluttuavano nel vuoto come sculture in una galleria d’arte. Esteticamente accattivanti, biologicamente pornografici. Ho preferito tacere piuttosto che mostrare strumenti che avrebbero insegnato cose sbagliate con autorità visiva.
Tre mesi dopo, devo ricredermi. Non del tutto, ma abbastanza.
Da glossario animato a meccanica abbozzata
Ho passato una mattinata a generare lo stesso video con quattro modelli diversi. Il soggetto: reticolo endoplasmatico rugoso, ribosomi al lavoro, sintesi proteica in corso. Un classico da libro di testo.
Il primo Sora ha prodotto quello che Gemini, con una formula che meriterebbe di restare, ha chiamato pornografia didattica: palette cromatica da manuale Zanichelli, strutture riconoscibili, movimento puramente cosmetico. La cellula “respira” perché le GIF statiche annoiano sui social. Non succede nulla. È un poster animato.
Veo3 ha fatto un salto. La chinesina — quella proteina motrice che trasporta vescicole lungo i microtubuli — cammina davvero. La catena polipeptidica esce dal ribosoma e si ripiega progressivamente. C’è un prima e un dopo, una trasformazione visibile. Il problema: la chinesina sembra uscita da un catalogo di componentistica industriale. Cromata, con ingranaggi concentrici. Il modello ha interpretato “meccanica molecolare” come “estetica da fabbrica tedesca”.
Sora 2 ha trovato un equilibrio diverso. Stessa scena, ma la camera resta ferma. La vescicola attraversa l’inquadratura, la catena cresce perla dopo perla. Niente orbite cinematografiche, niente illuminazione drammatica. Sembra un documentario degli anni Duemila: sobrio, didattico, quasi sottotono. E proprio per questo, paradossalmente più utilizzabile.
Nessuno dei tre è corretto. Ma due su tre mostrano processi, non nomenclatura. È la differenza tra indicare le parti di un motore e mostrare i pistoni che si muovono.
La trappola della verosimiglianza
Il rischio, ora che i video migliorano, è un altro. Gemini l’ha sintetizzato con una formula efficace: Biology as Vibe. Biologia come atmosfera.
Il vecchio Sora produceva immagini così stilizzate che nessuno le avrebbe scambiate per realtà. Erano icone, simboli. Sbagliavano, ma sbagliavano in modo evidente. I nuovi modelli sbagliano in modo convincente. La texture granulare, la profondità di campo, l’illuminazione morbida conferiscono un’autorità implicita che non meritano.
Nel video di Veo3, le catene polipeptidiche si muovono come anguille. È sbagliato: una proteina nascente non nuota via dal ribosoma, viene traslocata attraverso un canale. Ma l’immagine è così ben fatta che lo studente impara l’errore senza accorgersene. L’estetica scavalca la causalità.
È lo stesso problema dei documentari naturalistici. Generazioni di spettatori pensano che i leoni caccino in continuazione perché la BBC non trasmette le venti ore al giorno in cui dormono. L’autorità del medium costruisce misconcezioni durevoli.
Il precedente che ci salva: Niels Bohr e Piero Angela
Eppure, ci sono precedenti che dovrebbero rassicurarci.
Chi è cresciuto con Quark ricorda i modellini di polistirolo, le animazioni a passo uno, le ricostruzioni che oggi farebbero sorridere. Piero Angela mostrava la doppia elica come una scala a chiocciola di plastica, i neuroni come palline collegate da fili. Era sbagliato nei dettagli, approssimativo nella scala, impossibile nella fisica. Eppure ha formato la cultura scientifica di due generazioni di italiani. Non perché fosse accurato, ma perché dava un aggancio: qualcosa da visualizzare, da cui partire.
Lo stesso vale per il modello planetario dell’atomo, che è una catastrofe epistemologica. Elettroni che orbitano come pianetini, salti quantici su binari circolari. Chiunque abbia studiato meccanica quantistica sa che è sbagliato in modi fondamentali. Eppure quel modello ha fatto qualcosa che nessuna equazione di Schrödinger avrebbe potuto fare: ha dato a milioni di persone un aggancio mentale.
In didattica esiste un concetto chiamato misconcezione produttiva: un’idea sbagliata che permette di fare il passo successivo. Il modello di Bohr ti permette di pensare “c’è un nucleo e cose che gli girano attorno”. Da lì, con fatica, con un buon docente, arrivi a capire che no, non girano, sono distribuzioni di probabilità. Ma senza quel primo modello sbagliato, non avresti neanche il vocabolario per porre la domanda.
I video di Veo3 e Sora 2 potrebbero funzionare allo stesso modo. La chinesina cromata è sbagliata, ma pianta l’idea che le cose si muovono attivamente dentro la cellula. Il polipeptide-anguilla è sbagliato, ma comunica che qualcosa esce dal ribosoma, che c’è produzione, trasformazione.
L’alternativa non è “video perfetti contro video imperfetti”. È “video imperfetti contro nessun video”. E un docente competente con materiale imperfetto batte un docente solo con le parole.
L’obiezione seria: Bohr sapeva, Sora no
C’è una differenza che non si può ignorare. Il modello di Bohr è una menzogna intenzionale: un’astrazione costruita da chi conosceva la complessità sottostante e ha deciso deliberatamente cosa togliere. C’è una pedagogia della riduzione. Piero Angela sapeva esattamente dove i suoi modellini tradivano la realtà.
Il video di Sora è una menzogna statistica. Il modello non “decide” di semplificare la traslocazione del polipeptide; nel suo spazio latente, i pixel che sembrano anguille sono semplicemente più probabili vicino ai pixel che sembrano ribosomi. Non c’è consapevolezza, non c’è meta-livello.
È un’obiezione seria. Ma la controbiezione è altrettanto seria: al docente non importa l’origine dell’errore. Chi usa Bohr in classe non lo usa perché Bohr era consapevole — lo usa perché funziona come ponte cognitivo. L’origine della semplificazione (deliberata o accidentale) è irrilevante per lo studente. Conta solo se chi insegna sa quando dire “e adesso dimentica”.
Qui sta il punto: lo strumento non sostituisce il docente. Lo rende più necessario.
Il ribaltamento: da contenuto a esercizio
La vera intuizione pedagogica è un’altra. Il futuro non è “il docente proietta Sora alla classe”. Il futuro è: la classe genera il video con Sora e passa l’ora a trovare gli errori.
L’allucinazione diventa materiale didattico. La chinesina cromata non è un problema da nascondere — è un esercizio: perché questa rappresentazione è sbagliata? Cosa suggerisce che non corrisponde alla realtà? Il polipeptide-anguilla diventa occasione per spiegare la differenza tra traslocazione attiva e diffusione passiva.
È lo stesso principio delle fonti storiche interpolate che si usano nei corsi di metodologia: documenti con errori deliberati, per insegnare a riconoscere le falsificazioni. Solo che qui gli errori li genera la macchina, gratis, in quantità illimitata.
Il docente che mostra un video perfetto insegna biologia. Il docente che mostra un video sbagliato e guida la classe a smontarlo insegna pensiero critico sulla biologia. Il secondo è più raro e più prezioso.
Dieci anni, forse meno
C’è poi la questione pratica che nessuna analisi estetica può aggirare: questi video durano cinque, otto secondi. Portano il marchio del generatore nell’angolo. Per una presentazione in classe servono spezzoni di venti, trenta secondi almeno — abbastanza da mostrare un processo completo, non un frammento. Oggi devi concatenare più generazioni, sperare che mantengano coerenza visiva, rimuovere i watermark (con tutte le implicazioni etiche del caso). È lavoro artigianale che vanifica il vantaggio dello strumento.
La proiezione ragionevole: fra una decade avremo video più lunghi, senza filigrana, indistinguibili da animazioni professionali fatte a mano. La qualità tecnica non sarà il collo di bottiglia. Il problema sarà che avremo strumenti potentissimi senza vincoli semantici — a meno che qualcuno non li costruisca deliberatamente.
Per ora, il test più onesto è semplice. Chiedi al modello una situazione biologicamente impossibile: un ribosoma che fagocita un mitocondrio. Se lo genera con la stessa convinzione estetica di una sintesi proteica corretta, hai la prova che non c’è alcun vincolo causale. Solo interpolazione statistica su pixel.
Ma questo non rende lo strumento inutile. Rende necessario il docente. Come con Bohr: qualcuno che sappia dire “e adesso dimentica tutto quello che hai visto, perché la realtà è più strana”.
In Sicilia, a settembre, avevo ragione a dire no. Tre mesi dopo, direi “sì, ma”. Il “ma” è ancora grande. Si sta restringendo.
Riferimenti
- Goodsell, D. S. (2009). The Machinery of Life. Springer. Il riferimento per la visualizzazione molecolare che rispetta la densità reale del citoplasma.
- Posner, G. J. et al. (1982). “Accommodation of a Scientific Conception: Toward a Theory of Conceptual Change”. Science Education, 66(2), 211-227. Il paper fondativo sul ruolo delle misconcezioni nell’apprendimento scientifico.
- The Inner Life of the Cell (Harvard/BioVisions, 2006). Il riferimento pre-AI per l’animazione biologica curata da biologi, non da pesi statistici.
- I video analizzati sono stati generati con Sora (OpenAI), Sora 2 (OpenAI) e Veo3 (Google DeepMind) nel dicembre 2024, usando varianti dello stesso prompt descrittivo.
Post scriptum. L’idea di usare l’errore come materiale didattico non nasce qui. È il nucleo dell’AI Challenge https://salahzar.com/2024/08/05/ai-challenge-revisited-in-brief/ , una metodologia che ho sviluppato per integrare l’intelligenza artificiale nei percorsi di apprendimento: interazione diretta con i sistemi, dubbio costruttivo, verifica incrociata, sintesi critica. Un ciclo in sei fasi che richiede tempo, struttura e un docente capace di fare da guida invece che da fonte.
Il problema è che l’AI Challenge nella sua forma completa è una Formula 1: perfetta sulla pista giusta, impraticabile sulle strade dissestate della scuola reale. Sessanta minuti strutturati, infrastrutture funzionanti, valutazione ripensata. Roba da progetto pilota, non da lunedì mattina.
Il video AI imperfetto offre un punto d’ingresso più basso. Non servono sei fasi: bastano dieci minuti, un proiettore e una domanda — cosa c’è che non va qui? È AI Challenge in versione tascabile. Non sostituisce il ciclo completo, ma permette di iniziare. E iniziare è già qualcosa.
Per chi studia. Se sei dall’altra parte della cattedra, questo articolo parla anche a te. Quella sensazione di diffidenza che provi davanti a un video troppo liscio, a una spiegazione troppo levigata — non è ignoranza. È istinto critico. Conservalo.
La scuola spesso ti chiede di spegnerlo per “imparare”. Io ti dico: accendilo. Il modello di Bohr che ti insegnano è sbagliato. I video che ti mostrano semplificano. I libri omettono. Non per cattiveria — perché altrimenti non capiresti nulla al primo giro. Ma tu hai il diritto di sapere che sono ponti, non destinazioni.
Il tuo compito non è memorizzare il ponte. È attraversarlo e poi guardarlo da lontano, capire dove scricchiola, chiederti cosa c’è dall’altra parte. Il docente che ti aiuta a fare questo è raro. Se ne trovi uno, tienitelo stretto. Se non lo trovi, inizia da solo: guarda un video, qualsiasi video, e chiediti cosa potrebbe essere sbagliato. È il muscolo più utile che puoi allenare. Funziona in biologia, in storia, sui social, ovunque qualcuno cerchi di convincerti con immagini belle.

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