Il divieto del 1961

Published on

in

,

Da bambino avevo sempre la mano sporca di inchiostro. Non per sbadataggine — per geometria: ero mancino, e la mano sinistra passava inevitabilmente sulla riga appena tracciata. L’inchiostro della stilografica, ancora fresco, mi tingeva il palmo di blu. A fine giornata sembravo un operaio tipografo in miniatura.

A disegno tecnico le cose peggioravano. Anche se lavoravo a matita, i miei elaborati portavano i segni di quella mano che trascinava, sfumava, sporcava. Il professore li tollerava appena, con un misto di disprezzo e rassegnazione che non si dava neppure la pena di nascondere. I suoi commenti non erano cattivi — peggio: erano annoiati. Un bambino capisce la differenza.


László József Bíró era un giornalista ungherese con le mani perennemente macchiate d’inchiostro — come le mie, ma per ragioni professionali. Le stilografiche dell’epoca macchiavano i fogli, l’inchiostro richiedeva tempi di asciugatura lunghi, la ricarica era continua. Per chi scriveva tutto il giorno, un tormento.

La leggenda vuole che l’illuminazione arrivò guardando dei bambini giocare a biglie: dopo aver attraversato una pozzanghera, le biglie lasciavano dietro una riga di fango uniforme. Una sfera che rotola e deposita. Il meccanismo era lì, ovvio, nascosto in un gioco da cortile.

Col fratello György, chimico, Bíró affrontò il vero problema: l’inchiostro. L’intuizione fu combinare un inchiostro ad alta viscosità con il meccanismo a sfera — così non si asciugava nel serbatoio, e il flusso restava controllato. Il brevetto arrivò il 15 giugno 1938, in Gran Bretagna.


La storia della biro è anche una storia di fughe. Nel 1941 i fratelli Bíró lasciarono l’Europa per sfuggire alle persecuzioni naziste. Prima la Spagna, poi l’Argentina. Lì la penna diventò “Birome” — da Bíró e Meyne, il socio locale.

Ma chi la rese universale non fu l’inventore. Fu Marcel Bich, un barone valdostano naturalizzato francese. Bich semplificò il processo produttivo, abbatté i costi del novanta per cento. Una Bic Cristal costava cinquanta centesimi di franco.

Bíró morì povero. Bich diventò ricchissimo. Come Meucci col telefono. Come Tesla con la corrente alternata. L’inventore intuisce, l’imprenditore industrializza.


E qui arriviamo al dettaglio che illumina tutto.

In Italia le maestre sostenevano che per una bella grafia servisse il pennino. Imparare la calligrafia con la penna a sfera? Impossibile, dicevano.

Il mio professore di disegno tecnico apparteneva a quella scuola. Per lui la forma era la sostanza. Un tratto incerto rivelava una mente incerta. Una macchia d’inchiostro era un difetto morale prima che tecnico. Quando guardava i miei fogli — quella mano sinistra che trascinava tutto — non vedeva un problema da risolvere. Vedeva un’indole.

È lo stesso sguardo che animava il maestro Perboni nel Cuore di De Amicis: la bella scrittura come disciplina dell’anima, il quaderno come specchio del carattere. Un’idea ottocentesca che in Italia sopravvisse più a lungo che altrove.

Quanto a lungo? Fino al 1961, nelle pubbliche amministrazioni e negli istituti di credito italiani, la biro era vietata. I documenti firmati con penna a sfera venivano rigettati. Non per ragioni tecniche — l’inchiostro Bic resisteva benissimo. Per ragioni di decoro.

Gagarin era già stato nello spazio. Noi rifiutavamo le firme.


C’è un’altra storia dentro questa storia, e riguarda gente che non poteva permettersi il decoro.

Le stilografiche perdevano inchiostro in alta quota. A seimila metri, in una cabina che vibrava, un pilota della RAF doveva annotare coordinate, rotte, avvistamenti. Serviva uno strumento che funzionasse e basta. La RAF ordinò trentamila biro — forse il primo acquisto di massa nella storia della penna a sfera.

I piloti non avevano tempo per la bella calligrafia. Scrivevano per sopravvivere, non per essere giudicati. E nessuno, in cabina di pilotaggio, si sarebbe sognato di respingere un appunto perché scritto con lo strumento sbagliato.

Io — mancino in un’aula di disegno tecnico — non ero molto diverso. Non cercavo eleganza. Cercavo di finire il compito senza sembrare un imbianchino ubriaco. La biro asciugava subito. Niente più mani blu, niente righe sbavate. Una soluzione che esisteva già, ma che a scuola non si poteva usare.


La sfera della biro — ottone, acciaio o carburo di tungsteno — ha un diametro inferiore al millimetro e rotola centinaia di migliaia di volte senza incepparsi. Ogni penna, dice Bic, consente tre chilometri di scrittura. Nel 2005 l’azienda ha raggiunto i cento miliardi di pezzi venduti.

Cento miliardi di sfere che rotolano. L’equivalente di aver tracciato una linea dalla Terra a Marte quasi seimila volte.


Il professore di disegno tecnico è morto da tempo, suppongo. Non so se abbia mai usato una biro. Probabilmente no — certi principi non si abbandonano.

Io scrivo tutto a tastiera, ormai. Ma quando firmo un documento, uso sempre una biro. Nera, punta media, niente di speciale. La mano sinistra passa sopra la firma appena tracciata.

Non si macchia più.


Riferimenti

Leave a comment


Benvenuto su Salahzar.com

Qui trovi analisi critiche sull’intelligenza artificiale e le sue implicazioni sociali, scritte da chi viene da una impostazione umanistica e ha passato vent’anni a costruire mondi virtuali prima che diventassero “metaverso”.

Niente hype da Silicon Valley o entusiasmi acritici: sul tavolo ci sono le contraddizioni dell’innovazione tecnologica, i suoi miti fondativi, le narrazioni che usiamo per darle senso. Dai diari ucronici (storie alternative come strumento per capire i nostri bias cognitivi) alle newsletter settimanali sugli sviluppi dell’AI che richiedono aggiornamenti continui perché i trimestri sono già preistoria.

Se cerchi guide su come “fare soldi con ChatGPT” o liste di prompt miracolosi, sei nel posto sbagliato. Se invece ti interessa capire cosa sta succedendo davvero – tra hype, opportunità concrete e derive distopiche – sei nel posto giusto.

Umanesimo digitale senza retorica, analisi senza paternalismi, ironia senza cinismo.


Join the Club

Stay updated with our latest tips and other news by joining our newsletter.