Debug in tempo reale della realtà

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Quando la noia a scuola mi insegnò più di qualsiasi pedagogia

tl;dr — Cognizione e affetto non sono due cose separate. Quando un bambino “odia le frazioni”, non ha un problema cognitivo più un problema emotivo: ha un problema unico che appare in due modi diversi. Vygotskij l’aveva capito negli ultimi mesi di vita, ma è morto prima di completare la teoria—e noi abbiamo ereditato la versione mutilata. Conseguenza pratica: non puoi progettare “contenuti” e poi “aggiungere” motivazione. Il campo è uno. L’AI che entra in classe non è strumento neutro: cambia la natura di quello che si impara, non solo come lo si impara.


A tredici anni avevo sviluppato una tecnica di sopravvivenza. Durante le ore morte—latino alle due del pomeriggio, scienze con il professore monotono—smontavo mentalmente quello che stava accadendo. Non ascoltavo la lezione: la analizzavo come codice difettoso. Perché parla con quel ritmo? Che effetto ha sulla classe? Cosa succederebbe se cambiasse tono adesso? Diagnosi in tempo reale. E funzionava: la noia evaporava, sostituita da qualcosa di molto più interessante.

Era un po’ come il protagonista di Pirandello che si guarda allo specchio e, nel guardarsi, diventa un altro: io mi guardavo mentre mi annoiavo, e nel guardarmi smettevo di annoiarmi.

Ci ho messo trent’anni a capire cosa stavo facendo. Non “sfuggivo” alla noia. La trasformavo. E in quella trasformazione, pensiero e sensazione erano fusi: non ragionavo e provavo piacere—ragionavo-provavo-piacere, un campo unitario dove l’analisi era eccitazione e la decostruzione era godimento.

Oggi, leggendo un libro di Wolff-Michael Roth [1], ritrovo quella stessa intuizione. Vygotskij l’aveva già vista, novant’anni prima.


Vygotskij muore due volte

La prima, nel 1934, di tubercolosi. La seconda, più lenta, nell’appropriazione indebita del suo pensiero.

Il Vygotskij che conosciamo—zona di sviluppo prossimale, impalcatura didattica, mediazione semiotica—è un Vygotskij impoverito. Non che quei concetti siano sbagliati: sono stati trasmessi senza corpo. La zona prossimale, nella vulgata, è uno spazio cognitivo dove l’esperto aiuta il novizio. Utile, per carità. Ma in questa versione l’affetto è invisibile. E il transfert—quella dinamica emotiva che si instaura tra chi insegna e chi impara, fatta di proiezioni, aspettative, identificazioni—non esiste. Rumore da filtrare, al massimo.

Vygotskij negli ultimi mesi stava cercando qualcos’altro: quello spazio tra livello attuale e potenziale non è neutro, è un campo pereživanie dove la relazione con l’altro è costitutiva del pensiero che emerge. Non “ti aiuto a pensare” ma “pensiamo insieme, e quel pensiero non esisterebbe senza questa relazione, con tutto il suo carico emotivo”.

Lo sappiamo grazie a Ekaterina Zavershneva, che ha lavorato sugli archivi familiari aperti dagli eredi nel 2006 [2]. Nei taccuini privati, Vygotskij ammette che la sua opera conserva tracce del dualismo cartesiano che aveva cercato di superare: la separazione tra intelletto e affetto, tra pensiero e prassi. Un mese prima di morire, scrive: “Questo è l’ultimo lavoro che ho fatto in psicologia—e morirò sulla vetta come Mosè, avendo intravisto la terra promessa ma senza mettervi piede. Addio, care creature” [3].

Cosa vedeva, Vygotskij, da quella vetta? Una psicologia dove il pensiero non è separabile dall’emozione. Dove l’apprendimento non è trasferimento di contenuti a cui poi si “aggiunge” motivazione. Dove la matematica non esiste come oggetto mentale neutro che successivamente provoca stati emotivi.

Per arrivarci, si era rivolto a Spinoza. E noi, novant’anni dopo, continuiamo a ignorarlo.


Prima un esempio, poi la teoria

Immagina un bambino che dice “odio le frazioni”. La pedagogia consueta legge due problemi separati: uno cognitivo (non capisce) e uno emotivo (si sente frustrato). Due colonne del registro mentale. Prima risolvi il primo, poi—o in parallelo—lavori sul secondo.

La prospettiva che Vygotskij stava sviluppando dice: non esistono due problemi. Il rapporto di quel bambino con le frazioni è fatto contemporaneamente di confusione cognitiva e angoscia emotiva, fuse come acqua e temperatura. Non puoi togliere l’angoscia e lasciare “il concetto puro”. L’angoscia è parte di come le frazioni esistono per lui in quel momento.

Non sono frazioni + paura. Sono frazioni-paura. Un campo unico.

I russi hanno una parola per questo: pereživanie. Esperienza-vissuta-emotivamente-significante, tutto attaccato. Il vocabolario occidentale non l’ha mai saputo rendere, e forse non è un caso.


Il trucco di Spinoza

C’è un’immagine che Roth usa nel libro: il disegno anatra-coniglio. Lo guardi e vedi un’anatra. Lo guardi ancora e vedi un coniglio. Ma non puoi vedere entrambi simultaneamente. E la domanda “è un’anatra o un coniglio?” è mal posta: è un’anatra-coniglio, una cosa sola che appare in due modi incompatibili.

Per Spinoza, corpo e pensiero funzionano così. Non due sostanze separate (Cartesio), ma una sola sostanza che si manifesta come Estensione quando la guardi in un modo, come Pensiero quando la guardi nell’altro. Non un corpo che pensa—un campo unitario dove materiale e ideale sono aspetti della stessa realtà.

In classe, traduci: quando interroghi e lo studente sbaglia, l’insegnante tende a vedere due cose separate — l’errore (cognitivo) e l’ansia (emotiva). Due problemi, due interventi. Ma sono la stessa realtà guardata da due angolazioni. Se guardi “cognitivamente” vedi l’errore. Se guardi “affettivamente” vedi l’ansia. Però non puoi correggere l’errore ignorando l’ansia, perché non sono separati: sono lo stesso campo visto in due modi. E quel campo include anche te, il tuo tono, la relazione che avete costruito — il transfert che dicevamo.

Vygotskij negli ultimi mesi stava cercando di portare questo dentro la psicologia. Voleva leggere Spinoza attraverso Marx—l’Ideologia Tedesca, pubblicata a Mosca proprio nel 1932, un anno prima della sua morte [4]. Non fece in tempo.

E noi abbiamo ereditato la versione senza carne: zone prossimali come tecnica, impalcature come procedura, mediazione come passaggio di informazioni. Il transfert? Roba da psicoanalisti, non da didatti.


Torniamo a quel ragazzino annoiato

Adesso capisco cosa facevo alle due del pomeriggio durante l’ora di latino. Non “distraevo” la mente dal contenuto per occuparla con qualcos’altro. Trasformavo il campo in cui esisteva la lezione. L’oggetto “spiegazione di latino” non era lo stesso prima e dopo la mia operazione di smontaggio. Era diventato qualcosa dove curiosità analitica, piacere della decostruzione e contenuto disciplinare formavano un tutt’uno.

Ecco perché non ero annoiato mentre analizzavo, anche se ero nella stessa aula, con lo stesso professore, nella stessa ora. Il campo era cambiato—e con esso, l’esperienza.

La noia non era il problema da risolvere. Era un campo pereživanie specifico, con la sua struttura. Non si “elimina” aggiungendo stimoli. Si trasforma dall’interno, cambiando la natura del campo stesso.


Ho già visto questo film

Nel 2013, quando fondai edu3d, spiegavo ai docenti che i mondi virtuali avrebbero rivoluzionato la didattica. Second Life, OpenSimulator, ambienti immersivi. La domanda ricorrente era: “Come posso usare questo strumento per insegnare la mia materia?”

Nel 2015, nelle formazioni INDIRE, stessa scena. Avatar, mondi 3D, simulazioni. “Come lo uso per insegnare X?”

Oggi, 2025, corsi sull’AI generativa. Claude, ChatGPT, Gemini. Indovina la domanda.

Tre tecnologie, dodici anni, stessa domanda sbagliata. E lo stesso errore di fondo: pensare che esista una materia X indipendente dallo strumento, dal contesto, dalla relazione. Un contenuto neutro da “veicolare” con mezzi diversi.

Fellini in fa un film su un regista che non riesce a fare un film—la difficoltà creativa diventa il soggetto, non l’ostacolo. Noi invece continuiamo a trattare le tecnologie come mezzi trasparenti per trasmettere contenuti opachi. Il contrario esatto di quello che Vygotskij aveva intuito.


L’AI entra nel campo

Quando uno studente usa Claude per risolvere un problema di matematica, cosa succede?

Risposta consueta: usa uno strumento per accedere a un contenuto.

Risposta Vygotskij-Spinoza: sta costituendo un campo pereživanie specifico dove l’AI è parte integrante dell’esperienza matematica.

Il sollievo di non dover chiedere al professore (e sembrare stupido). L’eccitazione di avere risposte immediate. La vergogna nascosta di “barare”. L’ansia da dipendenza—e se non ho l’AI all’esame? Nessuna di queste emozioni “accompagna” l’apprendimento. Sono l’apprendimento, in quella forma specifica.

La matematica-appresa-con-Claude è diversa dalla matematica-appresa-col-professore. Non la stessa matematica con strumenti diversi. Matematica diversa.

È la stessa cosa che avevo capito—senza saperlo—programmando NPC in OpenSimulator. Un avatar che risponde non è un “canale” per passare informazioni. È un nodo relazionale che cambia la natura dell’interazione. I miei docenti edu3d lo vedevano quando uno studente parlava più liberamente con l’NPC che con loro. Non era il contenuto a cambiare—era il campo.

Quando un insegnante dice “gli studenti copiano da ChatGPT invece di ragionare”, sta assumendo che esista un “ragionamento puro” (cognitivo), che ChatGPT aggira, e che le emozioni (pigrizia, ansia, efficienza) siano fattori esterni. Ma no: il ragionamento con ChatGPT è già una forma di ragionamento, dove ansia, velocità, delega, timore del giudizio sono costitutivi del pensiero che emerge.

Non è ragionamento vero meno emozioni spurie. È un campo unico, come sempre.


Cosa cambia per chi insegna

La domanda giusta non è “come uso l’AI per insegnare X” ma “che X emerge quando l’AI diventa parte del campo?”

Non stai introducendo uno strumento in un processo esistente. Stai cambiando il processo.

Tre conseguenze operative:

L’aggiunta di “elementi ludici” per “motivare” gli studenti spesso fallisce perché tratta l’affetto come variabile esterna da manipolare—punti, badge, classifiche—invece che come tessuto del campo dove la disciplina si costituisce. Cosmesi su struttura invariata.

L’AI in classe non è strumento neutro. Entra nel campo come elemento costitutivo. Quando scegli se usarla, come usarla, quando negarla, stai scegliendo che disciplina far emergere. Non come “trasmetterla”—che disciplina.

Il curricolo non è lista di obiettivi cognitivi a cui “aggiungere” benessere emotivo. È progettazione di campi pereživanie. Due colonne? No. Un campo.


Archeologia di un progetto interrotto

Negli archivi ritrovati da Zavershneva ci sono tracce di lavori mai completati: una teoria delle emozioni, una teoria della coscienza. Vygotskij morì a trentasette anni, nel pieno della revisione. La tubercolosi non aspetta le sintesi teoriche.

Novant’anni dopo, continuiamo a insegnare con la versione disincarnata. Zone prossimali ovunque, transfert da nessuna parte. Convegni su “motivazione e apprendimento” dove motivazione e apprendimento sono ancora due cose separate, due sessioni parallele, due esperti diversi.

Quel ragazzino annoiato di tredici anni aveva capito qualcosa che la pedagogia ufficiale ancora fatica a digerire: non esistono contenuti neutri a cui poi si aggiunge l’affetto. Esistono campi dove pensi-senti, un verbo solo.

Ho visto tre rivoluzioni tecnologiche promettere la stessa cosa—immersività, interazione, personalizzazione—e tutte trattate come veicoli neutri per contenuti immutabili. Pirandello sorride amaro. Il resto è Cartesio che non vuole morire.

P.S. — C’è un buco in questo articolo, e un amico me l’ha fatto notare. Parlo di campo unitario, di pensare-sentire come verbo unico, di transfert. Ma il transfert richiede che l’altro possa essere toccato dalla relazione. Quando parli con Claude o ChatGPT, tu sei modificato. Loro no. Che tipo di campo si costruisce con uno specchio che non può incrinarsi? Nel prossimo pezzo proverò a rispondere — o almeno a formulare la domanda in modo che faccia male al punto giusto.


Riferimenti

[1] Roth, W.-M. (2017). The Mathematics of Mathematics: Thinking with the Late, Spinozist Vygotsky. Rotterdam: Sense Publishers. → Ricostruzione sistematica del tardo Vygotskij. Sviluppa il quadro spinoziano applicato all’educazione matematica.

[2] Zavershneva, E. I. (2010). The Vygotsky Family Archive: New Findings. Journal of Russian and East European Psychology, 48(1), 14–33. → Primo studio sistematico degli archivi familiari, aperti nel 2006. Fonte primaria per i taccuini inediti.

[3] Zavershneva, E. I. (2010). Notebooks, Notes, and Scientific Journals of L.S. Vygotsky (1912–1934). Journal of Russian and East European Psychology, 48(1), 34–60. → Contiene la nota su Mosè, scritta poche settimane prima della morte (giugno 1934).

[4] Marx, K. & Engels, F. (1845-46/1932). Die deutsche Ideologie. Prima edizione: Mosca, 1932. → Testo centrale per la sintesi incompiuta. La tesi che la coscienza è “essere cosciente” (bewußtes Sein) informa la revisione degli ultimi mesi.

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