L’Archeologia della Prima Pagina

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Quando un frontespizio racconta più del libro stesso

Qualche mese fa scrivevo di Mercier e del suo L’An 2440 [1] — il tizio nel 1770 si addormenta dopo una discussione filosofica e si risveglia 700 anni dopo, in una Parigi utopica dove la monarchia è costituzionale, la Bastiglia è un monumento al dispotismo sconfitto, e Versailles sono rovine. Primo romanzo di fantascienza che mette l’utopia nel futuro invece che in un’isola lontana [2]. Successo editoriale clandestino del Settecento: 60.000 copie in diverse lingue, venti edizioni durante la vita di Mercier [3]. Mai dichiarato suo fino al 1791, dopo la caduta dell’Ancien Régime.

Il punto non era immaginare congegni futuribili — nel 2440 vanno ancora a cavallo — ma usare il futuro come specchio critico del presente. “Pensiero esperimento”, lo chiama Darnton [4]: guardi avanti per capire che il tuo oggi fa schifo.

E stamattina mi ritrovo davanti al frontespizio dell’editio princeps della Vita di Cellini, quella del 1728 mascherata da Colonia ma stampata a Napoli [5]. Una sola pagina. Un titolo rosso/nero, una dedica nobiliare, un fregio con mascherone, la solita formula “Per Pietro Martello” — che nessun Pietro Martello è mai esistito.

Mercier proiettava il 1770 nel 2440 per renderlo leggibile. Io mi ritrovo a fare lo stesso col frontespizio 1728: mappa stratificata di censure, reti intellettuali, tipografia come politica, falsi luoghi di stampa che sono veri luoghi di fuga.

Il Paratesto Come Architettura

Gérard Genette [6] lo chiamava “soglia di interpretazione” — il paratesto, tutto ciò che sta attorno al testo ma non è il testo. Frontespizio, dedica, prefazione, note a margine. Roba che nei corsi di letteratura italiana si salta. “Andiamo al sodo, leggiamo Cellini, non perdiamo tempo col frontespizio.”

Errore archeologico di primo grado.

Il frontespizio settecentesco è strategia promozionale, identità editoriale, dichiarazione politica, mappa delle alleanze, e — quando serve — puro inganno. Nel XVIII secolo l’Europa è un mosaico di giurisdizioni censorie: quello che puoi stampare a Amsterdam è proibito a Parigi. Quello che passa a Londra ti fa arrestare a Roma. E Napoli? Napoli è Napoli: borbonica, con censura ecclesiastica operativa, ma anche porto mediterraneo dove le idee circolano più veloci delle condanne.

Antonio Cocchi [7], medico granducale e accademico della Crusca, quando nel 1728 decide di pubblicare la Vita di Cellini — rimasta manoscritta per 150 anni — sa benissimo che non può stampare a Firenze col suo nome vero. Cellini racconta omicidi, sodomia, magia, risse con preti. È un’autobiografia senza filtri, dove l’artista si presenta come genio violento e incontrollabile. Materiale esplosivo.

Soluzione? Falsa Colonia.

Stampare “In Colonia: Per Pietro Martello” significava: “Questo libro è protestante/tedesco/fuori dalla giurisdizione pontificia, quindi non mi rompete”. Era lo schermo di anonimato del Settecento [8]. E Cocchi non era l’unico: “Colonia”, “Amsterdam”, “London” sui frontespizi italiani/francesi erano bandiere di convenienza bibliografica.

Ma c’è una sottigliezza. Pietro Martello non è un nome casuale. Evoca sì il martello dell’orefice (strumento emblematico di Cellini), ma “Martello” era anche cognome reale di Pier Jacopo Martello (1665-1727), drammaturgo napoletano morto l’anno prima [9]. Cocchi fa un gioco di specchi: nasconde Napoli dietro Colonia, e insieme segnala — a chi sa leggere — l’ambiente culturale napoletano da cui esce il libro. Falso che rivela il vero.

Tipografia Come Retorica

Guarda la gerarchia cromatica del frontespizio:

VITA → rosso, maiuscolo spaziato, massima enfasi
DI → nero, minuscolo, quasi invisibile (congiunzione di servizio)
BENVENUTO CELLINI → rosso, nome che domina
OREFICE E SCULTORE FIORENTINO → nero, definizione professionale
DA LUI MEDESIMO SCRITTA → nero, ma cruciale: segnala l’autorialità

Poi:

DEDICATA → nero, maiuscolo (cesura formale)
ALL’ECCELLENZA DI MYLORD RICCARDO BOYLE → rosso, nome del dedicatario equiparato a quello dell’autore

Questa alternanza non è decorativa: è retorica visiva. Il rosso marca chi (Cellini, Boyle), il nero marca cosa (biografia, arte, mestiere). Dichiarazione di rango: l’artista e il nobile sono sullo stesso piano cromatico.

Il frontespizio bicromatico costava. Richiedeva due passaggi al torchio, doppia inchiostrazione, sincronizzazione precisa [10]. Nel 1728 non era standard: era lusso. Cocchi sta dicendo: questo libro vale. Non è un opuscolo da due soldi, è un oggetto editoriale di pregio.

E infatti guarda a chi è dedicato: Richard Boyle, 3° Conte di Burlington [11]. Non un nobile qualsiasi. Burlington era l’architetto e mecenate che stava introducendo il palladianesimo in Inghilterra. Collezionista di disegni rinascimentali (alcuni attribuiti a Cellini). Arbitro del gusto antiquario britannico.

La scelta di Cocchi non è casuale. Burlington poteva aggirare la censura, far circolare il libro in Inghilterra senza passare dalla Francia pontificia. Poi c’era il posizionamento culturale: Cellini non come artigiano ma come artista di rango, degno di un lord. E infine la genealogia: Palladio → Cellini → Burlington, una linea che legittimava il primato italiano nell’arte anche fuori d’Italia.

La dedica non è omaggio. È tessitura strategica di alleanze.

Il Fregio: Iconografia Non Casuale

Il mascherone centrale con volute laterali non è decorazione generica. È un mascherone bacchico/satiresco con corona di foglie, bocca ghignante, volute asimmetriche. Deriva dal repertorio ornamentale delle grottesche romane [12] che Cellini stesso usava nei suoi gioielli e nella decorazione della Saliera di Francesco I.

Non è rococò settecentesco (quello è simmetrico, elegante, “pulito”). Questo è sporco, asimmetrico, quasi grottesco. Il tipografo napoletano (o Cocchi) ha scelto un fregio che visivamente evoca il linguaggio decorativo di Cellini.

È retorica al quadrato: il libro è un oggetto cellininiano, anche nella sua veste materiale. Lo stesso principio che Cellini applicava alla Saliera: contenuto e contenitore inscindibili.

L’Errore Canonico

C’è un dettaglio quasi invisibile nella riga centrale:
“tratta da un’ottimo manoscritto”

Errore grammaticale (dovrebbe essere “un ottimo” o “da ottimo”). Nel Settecento l’apostrofo elisivo era meno codificato, ma questo resta un errore. Eppure viene mantenuto nelle tirature successive. Nessuno ha osato correggere il frontespizio della princeps — è diventato canonico, errori compresi.

L’oggetto-libro, una volta stampato e messo in circolazione, diventa intoccabile. Non è un file da patchare. È un manufatto storico che incorpora anche i suoi difetti. Filologia del materiale.

Usura Come Biografia

Il foxing (macchie d’ossidazione) che vedi nell’esemplare del Getty Research Institute [13] non è casuale:

  • Concentrato ai margini → libro conservato verticale, umidità ambientale
  • Alone attorno al rosso → reazione chimica tra inchiostro ferrico e cellulosa
  • Distribuzione irregolare → ossidazione naturale lenta (300 anni)

Un falso moderno avrebbe foxing troppo uniforme (fatto artificialmente con tè/caffè), carta con pH acido post-1850, inchiostri che non reagiscono così. Qui tutto è coerente con invecchiamento autentico.

La carta — quel beige caldo con venature — è carta fatta a mano con stracci di lino [14]. Non è carta industriale acida (quella arriva dopo il 1850), quindi resiste meglio. È per questo che dopo 300 anni il libro è ancora integro, leggibile, consultabile.

Il foxing è la biografia del libro: dove è stato conservato, in che condizioni, quante mani l’hanno toccato. Mercier diceva di aver fatto il Tableau de Paris con le gambe. Questo esemplare della Vita di Cellini ha vissuto 300 anni con le macchie.

Triangolazione: Cocchi-Burlington-Cellini

Il reticolo intellettuale dietro questo frontespizio è una mappa del Grand Tour settecentesco:

Cocchi (Firenze) → medico dei Lorena, accademico della Crusca, protezione granducale + posizionamento napoletano = condizioni per stampare aggirando la censura fiorentina

Burlington (Londra) → mediatore culturale tra Grand Tour e mercato dell’arte + collezionista di disegni rinascimentali + dettatore del gusto britannico = può far circolare il libro in Inghilterra

Cellini (Firenze, †1571) → artista fuori moda nel Settecento neoclassico (troppo “barocco”, eccessivo) + autobiografia scandalosa rimasta manoscritta per 150 anni = oggetto controverso

La princeps del 1728 esce contro il gusto del tempo. Il Settecento considerava Cellini eccessivo, troppo “manierista”, troppo corpo/violenza. Winckelmann [15] predicava “nobile semplicità e quieta grandezza” — Cellini era l’opposto: rumore, ego smisurato, violenza estetica.

Ma proprio per questo diventa cruciale per il Romanticismo: Byron e Goethe lo adorano perché vedono in lui il genio ribelle [16]. La pubblicazione del 1728 arriva troppo presto (pubblico non ancora pronto), ma prepara il terreno. È un successo in differita che esploderà 50 anni dopo.

Cellini Contro Vasari

Perché la Vita è un modello opposto rispetto alle Vite di Vasari? [17]

Vasari costruisce narrazione teleologica: gli artisti perfezionano l’arte di generazione in generazione, fino all’apice michelangiolesco. Tutto ordinato, pedagogico, finalizzato. Provvidenziale.

Cellini è l’opposto:

  • Caos invece di provvidenza: Non carriera lineare ma zuffe, fughe, omicidi, magie, vendette. L’arte emerge nonostante il caos.
  • Soggettività radicale: Vasari scrive in terza persona (storico oggettivo). Cellini è pura prima persona, sfacciatamente parziale. Non cerca oggettività, cerca di convincerti che aveva ragione lui.
  • Il corpo e la violenza: Vasari spiritualizza (artista come mente divina). Cellini materializza: l’arte passa attraverso risse, febbre, carcere, sifilide. È creatività incarnata, sporca e viscerale.

Questo è il motivo per cui il Settecento fatica con Cellini: non entra nel modello winckelmanniano. Ma è anche il motivo per cui il frontespizio del 1728 è così ricco: deve giustificare un’opera che va contro il gusto dominante. Deve persuadere attraverso dedica nobiliare, tipografia di lusso, fregio evocativo.

Lezioni di Metodo

I falsi sono più interessanti dei veri. “Colonia / Pietro Martello” dice più di quanto direbbe “Napoli / Antonio Cocchi”. Il falso rivela la geografia censoria dell’Europa settecentesca, le reti clandestine, i meccanismi di evasione. Il vero sarebbe solo un dato amministrativo.

La tipografia è politica. Rosso/nero non è estetica, è dichiarazione di rango. Due passaggi al torchio = investimento economico = questo libro conta. E conta perché deve convincere un pubblico ostile (Cellini fuori moda) che vale la pena leggerlo.

Il manoscritto non è mai “dormiente”. Dire che la Vita di Cellini è rimasta “dormiente” per 150 anni è falso. Circolava eccome, in forma manoscritta, in circoli ristretti [18]. Il problema era trovare un editore disposto a rischiare. Cocchi aveva il capitale culturale (protezione + rete di relazioni + posizionamento strategico) per farlo. Il manoscritto aspettava l’uomo giusto.

Provocazione Finale

Se Mercier proiettava il 1770 nel 2440 per leggere il presente, noi oggi proiettiamo cosa? L’OCR sporca il frontespizio settecentesco perché la s lunga confonde l’algoritmo. Google Books digitalizza ma perde la bicromatia (tutto diventa grigio). Archive.org fa meglio, ma restituisce pixel, non carta.

Tra 300 anni, quando qualcuno vorrà studiare come leggavamo i PDF nel 2025, cosa troverà? Archivi corrotti, collegamenti spezzati, formati obsoleti. Il foxing digitale si chiama degrado dei bit [19]. Ma almeno il foxing analogico lasciava tracce visibili. Il degrado dei bit cancella in silenzio.

Forse dovremmo tornare a stampare su stracci di lino. Almeno quelli durano 300 anni.


Riferimenti

[1] Mercier, Louis-Sébastien. L’An 2440, rêve s’il en fut jamais. Amsterdam, 1771. Edizione digitalizzata: Gallica BNF, https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6571684d
→ Prima utopia ambientata nel futuro invece che in luogo remoto. Protagonista si addormenta nel 1770, si risveglia 700 anni dopo in Parigi utopica.

[2] Stableford, Brian M. “Science Fiction before the Genre.” In The Cambridge Companion to Science Fiction, edited by Edward James and Farah Mendlesohn, 15–31. Cambridge University Press, 2003.
→ Mercier “laid the groundwork for the first theoretical discussion of the potential scope of futuristic fiction”, spostando l’utopia dall’isola immaginaria al tempo futuro.

[3] Darnton, Robert. The Forbidden Best-Sellers of Pre-Revolutionary France. W.W. Norton, 1996.
→ Darnton documenta che L’An 2440 fu “the most widely sold clandestine work of the late eighteenth century”, 60.000 copie in diverse lingue, mai dichiarato da Mercier fino al 1791.

[4] Darnton, Robert. “Despite its self-proclaimed character of fantasy… L’An 2440 demanded to be read as a serious guidebook to the future. It offered an astonishing new perspective: the future as a fait accompli and the present as a distant past.” Citato in The Forbidden Best-Sellers, 120.
→ Definizione del romanzo come “thought experiment” che espone la corruzione della società settecentesca usando il futuro come specchio critico.

[5] Cellini, Benvenuto. Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino, da lui medesimo scritta. In Colonia [i.e. Napoli]: Per Pietro Martello, 1728. Esemplare digitalizzato: Archive.org (Getty Research Institute), https://archive.org/details/vitadibenvenutoc00cell
→ Editio princeps, falso luogo di stampa. Curatore Antonio Cocchi. Metadati Archive.org indicano esplicitamente “In Colonia [i.e. Naples]”.

[6] Genette, Gérard. Paratexts: Thresholds of Interpretation. Translated by Jane E. Lewin. Cambridge University Press, 1997 [orig. Seuils, 1987].
→ Studio fondamentale sui paratesti come “soglie di interpretazione” che mediano l’accesso al testo. Frontespizi, dediche, prefazioni come dispositivi retorici.

[7] Cocchi, Antonio (1695–1758). Medico granducale, accademico della Crusca, traduttore di Senofonte. Curatore dell’edizione 1728 della Vita di Cellini.
→ Aveva il capitale culturale necessario: protezione lorenese + rete di relazioni europea + posizionamento napoletano fuori dalla diretta giurisdizione fiorentina.

[8] McKitterick, David. Print, Manuscript and the Search for Order, 1450–1830. Cambridge University Press, 2003.
→ Analisi sistematica dei “false imprints” nel libro europeo moderno. “Colonia”, “Amsterdam”, “London” come luoghi fittizi standard per evadere censura.

[9] Martello, Pier Jacopo (1665–1727). Drammaturgo e teorico bolognese/napoletano. Autore di Versi e prose (1710) e tragedie ispirate al teatro francese.
→ Cocchi sceglie “Pietro Martello” come pseudonimo che evoca sia il martello dell’orefice sia un letterato napoletano coevo, creando doppio strato di significato.

[10] Bertram, Benjamin et al., eds. Gateways to the Book: Frontispieces and Title Pages in Early Modern Europe. Brill, 2021.
→ Studio sistematico dei frontespizi come intento promozionale e dichiarazioni di prestigio. Bicromatia (rosso/nero) richiedeva doppio passaggio al torchio, quindi costo elevato.

[11] Boyle, Richard, 3rd Earl of Burlington (1694–1753). Architetto dilettante, mecenate, promotore del palladianesimo in Inghilterra. Collezionista di disegni italiani.
→ Posizionare Cellini sotto patronato Burlington significava inserirlo nel canone del gusto neoclassico britannico, legittimando l’artista oltre il contesto italiano.

[12] Dacos, Nicole. La Découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques à la Renaissance. Warburg Institute, 1969.
→ Studio archeologico delle grottesche romane riscoperte nel Rinascimento. Cellini usava questo linguaggio ornamentale; il fregio del frontespizio 1728 lo richiama intenzionalmente.

[13] Metadati Archive.org: Getty Research Institute, segnatura 556560. Scansione 2010, Santa Monica. Legatura coeva (pergamena su tavole, etichetta dorata sul dorso, bordi tinti di rosso).
→ Esemplare in condizioni ottime per 300 anni. Frontespizio bicromatico integro, foxing moderato, margini non eccessivamente rifilati.

[14] Hunter, Dard. Papermaking: The History and Technique of an Ancient Craft. Dover Publications, 1978 [orig. 1943].
→ Carta a mano pre-industriale fatta con stracci di lino/canapa. pH neutro, resistente al tempo. Carta acida industriale (post-1850) si degrada molto più velocemente.

[15] Winckelmann, Johann Joachim. Geschichte der Kunst des Alterthums (Storia dell’arte antica), 1764.
→ Manifesto del Neoclassicismo: “edle Einfalt und stille Größe” (nobile semplicità e quieta grandezza). Cellini, con la sua esuberanza manierista, era l’antitesi.

[16] Pope-Hennessy, John. Cellini. Macmillan, 1985. Capitolo “The Autobiography and Its Reception”.
→ Analisi della ricezione romantica di Cellini. Goethe tradusse la Vita in tedesco (1803), Byron la citava come modello del genio ribelle. Rivalutazione post-neoclassica.

[17] Vasari, Giorgio. Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori (1550, ed. ampliata 1568).
→ Modello storiografico teleologico: artisti che perfezionano progressivamente l’arte fino a Michelangelo. Cellini è presente nelle Vite, ma la sua autobiografia smonta il modello vasariano.

[18] Barricelli, Jean-Pierre. “The Autobiography of Benvenuto Cellini: A Critical Edition.” Renaissance Quarterly 32, no. 2 (1979): 201–215.
→ Documenta la circolazione manoscritta della Vita nel XVII secolo. Già nel 1600 esistono riferimenti a “memorie autografe” di Cellini nelle collezioni fiorentine.

[19] Rothenberg, Jeff. “Ensuring the Longevity of Digital Documents.” Scientific American 272, no. 1 (January 1995): 42–47.
→ Primo allarme sul degrado dei bit e sull’obsolescenza dei formati digitali. “Digital information lasts forever—or five years, whichever comes first.”

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