(e i Nostri Antenati Promiscui)
Come le tecnologie recenti hanno rivelato che l’origine dell’uomo è molto più complicata—e interessante—di quanto credevamo
C’è qualcosa di vertiginosamente ironico nel fatto che negli ultimi quarant’anni – un battito di ciglia nella scala temporale della nostra specie – abbiamo scoperto più cose sui 10.000 anni precedenti che in tutto il secolo e mezzo di archeologia moderna. È come se avessimo passato decenni a grattare la superficie con uno spazzolino, per poi scoprire che bastava usare gli strumenti giusti per vedere sotto terra senza nemmeno scavare.
Laser che sparano da elicotteri rivelando città perdute nella giungla. DNA estratto da ossa di 400.000 anni che racconta storie di incroci e migrazioni. Templi neolitici che capovolgono tutto ciò che credevamo di sapere sull’origine della civiltà.
Il paradosso è stridente: più ci avviciniamo al presente, più impariamo sul passato remoto. E quello che stiamo imparando è scomodo, nel senso migliore del termine: la storia dell’uomo non è la bella narrativa lineare che ci hanno insegnato. È un casino magnifico di tentativi, fallimenti, ibridazioni, contaminazioni.
Un mosaico, non un albero.
E forse – forse – vale la pena chiedersi se questa lezione non arrivi esattamente quando ne abbiamo più bisogno, mentre costruiamo sistemi che vorremmo fossero puliti, lineari, deterministici.
Ma partiamo dall’inizio. O meglio, da quando abbiamo capito di non sapere qual era l’inizio.
1995: Göbekli Tepe e il tempio che non doveva esistere
Un pastore turco nota pietre strane che spuntano dal terreno. Klaus Schmidt, archeologo tedesco, riconosce immediatamente che quelle non sono pietre qualunque. Quello che seguì ribaltò 150 anni di narrativa archeologica.
Göbekli Tepe: complesso di strutture megalitiche risalente al X millennio a.C. – circa 11.500 anni fa. Predatante Stonehenge di 6.000 anni. Costruito da cacciatori-raccoglitori prima dell’invenzione dell’agricoltura [1].
Per un secolo e mezzo l’archeologia aveva costruito un’elegante sequenza: caccia e raccolta → agricoltura → surplus alimentare → città → templi → civiltà. Göbekli Tepe la fece a pezzi. I pilastri a forma di T, alti fino a 5,5 metri e decorati con animali selvatici scolpiti in bassorilievo, furono eretti da persone che non avevano nemmeno inventato la ceramica.
Schmidt propose una tesi rivoluzionaria: “Prima il tempio, poi la città”. Non fu l’agricoltura a rendere possibile i templi monumentali, ma l’esatto contrario [2]. La necessità di radunarsi periodicamente per costruire questi luoghi sacri spinse le comunità nomadi a sviluppare l’agricoltura per sostentare centinaia di lavoratori.
Scoperte recenti hanno complicato ulteriormente il quadro: strutture domestiche, macine per cereali, sistemi di raccolta dell’acqua piovana [3]. Non cacciatori-raccoglitori nomadi o agricoltori stanziali. Entrambi. Una società ibrida che combinava elementi di entrambi i modelli, sperimentando per millenni prima di “scegliere” l’agricoltura.
La transizione neolitica non fu un interruttore binario. Fu un lungo processo di tentativi, errori, combinazioni diverse.
2009: il DNA antico e le voci dirette dei morti
Se Göbekli Tepe scardinò la cronologia, il DNA antico fece qualcosa di ancora più radicale: diede voce diretta ai nostri antenati.
La prima sequenza di DNA antico fu pubblicata nel 1984 da Russ Higuchi (da un quagga museale). L’anno successivo Svante Pääbo sequenziò DNA di 2.400 anni da una mummia egizia. Ma fu solo dal 2009, con l’introduzione del sequenziamento di nuova generazione (NGS), che il campo esplose [4].
2010: primo genoma completo di Neandertal. La scoperta chiave: molti esseri umani moderni portano ancora varianti genetiche ereditate dai Neandertaliani, che si incrociarono con i nostri antenati tra 55.000 e 40.000 anni fa [5].
David Reich, genetista di Harvard, descrive il momento della scoperta dei Denisovani: analizzando DNA da un osso di dito trovato in Siberia, il team scoprì che apparteneva a una popolazione che non era né Neandertal né umana moderna. Una specie sorella dei Neandertaliani – i Denisovani – di cui oggi sappiamo quasi tutto geneticamente ma di cui abbiamo pochissimi resti fisici [6].
Nell’ultimo decennio sono stati sequenziati i genomi di oltre 10.000 individui antichi, alcuni vissuti più di 400.000 anni fa. Nel 2022, Svante Pääbo ha ricevuto il Nobel per la Medicina proprio per queste scoperte [7].
La paleogenetica ha rivelato dettagli inaspettati. Un individuo di 38.000 anni fa (Kostenki, Russia) aveva segmenti di DNA neandertaliano lunghi circa 3 megabasi – molto più dei 57 kilobasi che troviamo oggi. Questo ha permesso di calcolare che l’incrocio avvenne circa 50-60.000 anni fa [8].
Reich lo riassume così: “50.000 anni fa, sarebbe stato come Star Wars, con molti diversi tipi di umani, tutti simili tra loro e in qualche modo comprensibili, molti con cervelli grandi quanto i nostri, ma molto più diversi tra loro di quanto lo siamo noi oggi.”
2024: LIDAR e l’Amazzonia riemersa
Mentre il DNA ci raccontava chi eravamo, un’altra tecnologia stava letteralmente rivelando città perdute. LIDAR (Light Detection and Ranging) – lo stesso sistema delle auto a guida autonoma – ha trasformato l’archeologia delle foreste tropicali.
Il principio è semplice: impulsi laser sparati da elicotteri. Alcuni rimbalzano sulla chioma, altri penetrano tra le foglie e colpiscono il suolo. Elaborando milioni di questi impulsi, si ricostruisce la topografia del terreno sotto la foresta con precisione millimetrica [9].
2024: team guidato da Stéphen Rostain pubblica su Science la scoperta di un’intera rete urbana nella valle dell’Upano, Ecuador. LIDAR ha rivelato oltre 6.000 piattaforme rettangolari di terra, strutture di piazza e tumuli connessi da una griglia estesa di strade dritte. Datazione: 2.500 anni fa – la più antica e vasta civiltà agricola mai scoperta nell’Amazzonia [10].
Applicando modelli statistici, i ricercatori stimano che potrebbero esserci tra 10.000 e 24.000 opere di terra ancora nascoste sotto la vegetazione amazzonica [11].
In Bolivia, 2022: Heiko Prümers scopre la cultura Casarabe – piramidi alte 20 metri, sistemi difensivi, riserve idriche e canali che collegavano centinaia di insediamenti. “Per me, che ho lavorato 20-25 anni in quella regione, è come un sogno che diventa realtà,” dichiarò [12].
La vecchia narrativa dell’Amazzonia come giungla inospitale abitata da piccole bande è definitivamente morta. E con essa il mito che le civiltà complesse richiedessero necessariamente un modello urbano europeo.
Il casino magnifico delle origini umane
Ed eccoci al punto. Tre rivoluzioni tecnologiche – Göbekli Tepe che demolisce la linearità agricola, DNA antico che rivela ibridazioni multiple, LIDAR che mostra civiltà “impossibili” nella giungla – convergono tutte verso la stessa lezione:
Le narrazioni semplici sono sempre sbagliate.
Prendiamo l’origine di Homo sapiens. La versione da libro di testo: Africa culla dell’umanità, singola migrazione 50-70.000 anni fa, conquista del mondo, fine della storia.
Peccato sia drammaticamente incompleta.
Le onde multiple
Dall’Africa non uscì una singola ondata trionfale, ma almeno tre migrazioni maggiori spalmate su quasi 2 milioni di anni [13]:
Primo esodo (1,8-2 milioni di anni fa): Homo erectus. Raggiunge Giava, Cina (“Peking Man”), forse Europa. Colonizza mezza Asia.
Secondo esodo (500-800.000 anni fa): antenati di Neandertal e Denisova. Si diffondono in Europa e Asia, evolvono adattamenti locali.
Terzo esodo (270.000-50.000 anni fa): Homo sapiens. Ma non fu un’unica migrazione – furono multiple sotto-ondate con fortune alterne:
- 270.000 anni fa: gruppi proto-sapiens escono, si incrociano con Neandertaliani [14]. Evidenza: il DNA mitocondriale neandertaliano è più simile al nostro che a quello dei Denisovani – paradosso risolto solo ammettendo un’infusione precoce di mtDNA africano.
- 210.000 anni fa: cranio di Apidima (Grecia) – il più antico H. sapiens fuori dall’Africa [15].
- 120-90.000 anni fa: grotte di Qafzeh e Skhul (Israele). Vicolo cieco – si estinsero senza lasciare discendenti duraturi [16].
- 50-70.000 anni fa: finalmente la migrazione che “funzionò”. Ma anche questa frammentata in rotte diverse: meridionale via Bab-el-Mandeb verso India e Australia, settentrionale via Sinai verso Medio Oriente ed Europa [17].
La Cina e i fossili scomodi
Dicembre 2024: ricercatori cinesi annunciano Hualongdong [18]. Circa 20 individui fossili, 300.000 anni fa. Caratteristiche intermedie tra Homo erectus e Homo sapiens. Una ragazza di 13-14 anni con faccia piatta e orbite alte (moderne), ma cranio che conserva tratti arcaici. L’inizio di un mento.
María Martinón-Torres la chiama “una delle scoperte più significative dell’ultimo decennio”. E pone una domanda scomoda: questi fossili rappresentano evoluzione locale, o risultato di ibridazioni multiple tra popolazioni africane e asiatiche?
Settembre 2025: studio su Science ricostruisce digitalmente un cranio di 1 milione di anni da Yunxian, Cina [19]. Forma generale suggerisce legame con Homo longi/Denisovani. Se confermato, significa che la separazione tra linee sapiens/Neandertal/Denisova è circa il doppio più antica di quanto pensassimo.
E poi c’è Homo longi – il “Dragon Man”. Cervello da 1.800 cc (molto più del nostro 1.400). Studio 2025 estrae DNA mitocondriale dal calcolo dentale: è denisovano [20].
I Denisovani non erano una popolazione marginale. Erano una specie diffusa in tutta l’Asia orientale, con cervelli più grandi dei nostri, che sopravvisse fino a 40-50.000 anni fa.
L’Asia non fu destinazione passiva. Fu laboratorio evolutivo.
I flussi che vanno all’indietro
Il colpo di scena vero: il flusso genico non fu unidirezionale.
Tutti sanno che Neandertaliani e sapiens si incrociarono circa 50.000 anni fa – oggi i non-africani portano 1-4% DNA neandertaliano [21]. Ma quello che abbiamo scoperto recentemente è più strano:
270.000 anni fa: sapiens (o proto-sapiens) → Neandertal in Europa. Infusione di mtDNA africano che sostituisce quello neandertaliano originale [22].
20.000 anni fa: europei (con DNA neandertaliano) → back to Africa. Retromigrazione [23]. Ecco perché anche gli africani moderni hanno circa 0,5% DNA neandertaliano.
Paradosso degli asiatici orientali: hanno 20% in più di DNA neandertaliano rispetto agli europei. Perché? Gli europei furono “diluiti” da successive migrazioni di popolazioni del Vicino Oriente (i “Basal Eurasians”) che si separarono subito dopo l’uscita dall’Africa, prima dell’incrocio [24].
Flussi Africa → Eurasia, flussi Eurasia → Africa, flussi incrociati tra Europa e Asia. Una rete intricata, non un albero pulito.
L’Europa come teatro di fusione
L’Europa non fu culla evolutiva – ma fu il principale palcoscenico di ibridazione [25]. Per almeno 6-10.000 anni Neandertaliani e sapiens coesistettero. I geni neandertaliani che abbiamo ereditato non sono casuali: risposta immunitaria (antigeni HLA), adattamento al freddo, metabolismo. Il gene MC1R neandertaliano – presente in alcuni europei – causava pelle chiara e capelli rossi [26].
Come nota Joshua Akey di Princeton: “Gli esseri umani moderni erano come onde che si infrangono su una spiaggia, lentamente ma costantemente erodendola. Alla fine abbiamo demograficamente sopraffatto i Neandertaliani e li abbiamo incorporati” [27].
50.000 anni fa il pianeta ospitava almeno quattro specie umane distinte: Homo sapiens, Homo neanderthalensis, Denisovani/Homo longi, Homo floresiensis (“hobbit”). Probabilmente altre popolazioni “fantasma” non ancora scoperte.
Oggi ne rimane una. Ma quella che sopravvisse porta dentro di sé frammenti di tutte le altre.
Il modello a mosaico (e cosa significa davvero)
Quello che emerge dagli ultimi quarant’anni non è solo una collezione di scoperte sorprendenti. È un cambio di paradigma su come pensiamo alla storia – e forse non solo alla storia.
La vecchia narrativa era lineare e progressiva: dalla semplicità primitiva alla complessità civilizzata, con tappe ben definite. Ogni scoperta veniva incasellata in questa scala.
La nuova realtà è un mosaico intricato di esperimenti paralleli:
- Göbekli Tepe dimostra che si potevano costruire templi monumentali prima dell’agricoltura
- L’Amazzonia rivela civiltà urbane complesse che gestivano paesaggi forestali con tecniche che stiamo ancora cercando di comprendere
- Homo naledi (cervello da scimpanzé) che forse seppelliva i morti 250.000 anni fa
- Popolazioni asiatiche che sviluppano tratti “moderni” 300.000 anni fa, contemporaneamente ma indipendentemente da quelle africane
Il successo di Homo sapiens non fu purezza genetica ma capacità di assorbire. Non vincemmo perché eravamo “migliori” in senso assoluto. Vincemmo perché eravamo demograficamente più numerosi e geneticamente più promiscui.
Ogni volta che incontravamo un’altra specie, ci ibridavamo. E quando quegli ibridi sopravvivevano, portavano vantaggi adattativi – geni immunitari che funzionavano meglio nel freddo europeo, adattamenti metabolici per diete diverse, resilienza a patogeni locali [28].
Il nostro genoma è un composito. Principalmente africano, sì – ma con contributi neandertaliani (1-4% nei non-africani), denisovani (4-6% in Oceania), probabilmente altre popolazioni fantasma.
Non esiste una “versione pura” di Homo sapiens. Non è mai esistita. Siamo sempre stati un mosaico.
Le tecnologie come lenti, non come sostituti
C’è una lezione metodologica in tutto questo. Le tecnologie che hanno permesso queste scoperte – NGS per il DNA, LIDAR per le città nascoste, datazione radiometrica avanzata – non sono solo strumenti più potenti per fare le stesse cose.
Sono nuove lenti che ci permettono di vedere aspetti della realtà che erano letteralmente invisibili prima.
Il LIDAR non ha semplicemente accelerato le scoperte archeologiche. Ha reso visibili paesaggi interi nascosti sotto la vegetazione. Come nota un articolo tecnico, stimano che ci sarebbero voluti 400 anni di scavi tradizionali per portare alla luce quello che hanno scoperto in pochi anni con le scansioni aeree [29].
Il DNA antico non ha solo confermato ipotesi basate su ossa e manufatti. Ha rivelato popolazioni intere – come i Denisovani – di cui abbiamo pochissimi resti fisici ma genomi completi.
Ogni tecnologia apre domande che non potevano nemmeno essere formulate prima. Prima del DNA antico, non aveva senso chiedersi quale percentuale del nostro genoma derivasse dai Neandertaliani. Prima del LIDAR, non potevamo mappare la densità abitativa di città perdute nella foresta.
Una questione di umiltà (e forse di applicabilità)
C’è qualcosa di profondamente umiliante – nel senso buono del termine – in questa accelerazione. Per secoli abbiamo guardato ai nostri antenati con una miscela di condiscendenza e ammirazione: condiscendenza per la loro apparente primitività, ammirazione per ciò che riuscirono comunque a realizzare “nonostante” le loro limitazioni.
Ora sappiamo che quella primitività era in gran parte proiezione nostra. Non mancavano di capacità cognitive o organizzative. Mancavano solo di alcune tecnologie specifiche – metallurgia, scrittura, ruota – che noi abbiamo retrospettivamente elevato a marcatori di “civiltà”.
Göbekli Tepe ha rotto la dottrina consolidata che negava la presenza di civiltà precedenti a quelle sumera ed egizia. Ora sappiamo che società complesse con simbolismo, religione e organizzazione sociale esistevano millenni prima.
Gli ultimi quarant’anni non ci hanno solo dato più dati. Ci hanno insegnato a fare domande diverse. Non più “quando l’umanità ha raggiunto la civiltà?”, ma “quali forme diverse di organizzazione sociale complessa hanno sperimentato le società umane?”.
E forse – solo forse – questa lezione si applica oltre l’archeologia.
Quando costruiamo sistemi complessi oggi – che siano organizzazioni, tecnologie, o altre forme di intelligenza – tendiamo a cercare la purezza: singoli paradigmi, architetture eleganti, approcci deterministici. Vogliamo linearità, progresso misurabile, tappe ben definite.
Ma la storia evolutiva suggerisce qualcosa di diverso. Le intelligenze che sopravvivono – biologiche o forse altre – sono quelle sporche. Quelle che assorbono invece di combattere. Quelle che mescolano invece di purificare. Quelle che sperimentano combinazioni diverse anche quando sembrano contraddittorie.
Non è una lezione. È solo un’osservazione, lasciata lì.
Il paleontologo Ryan McRae del Smithsonian lo dice perfettamente parlando dei fossili di 300.000 anni fa: “Il periodo è pieno di fossili che morfologicamente sono ‘un po’ un casino’” [30].
Ecco cosa siamo: un po’ un casino. Un casino che funziona.
E forse la differenza tra noi e i costruttori di Göbekli Tepe non è che noi siamo più intelligenti. È che noi abbiamo laser che penetrano la foresta, sequenziatori che leggono il DNA di ossa di 400.000 anni fa, e la consapevolezza – tardiva, ma finalmente acquisita – che la scala del progresso su cui ci mettevamo in cima era una nostra invenzione.
E forse proprio questo è il progresso più importante: l’umiltà di accettare che i nostri antenati erano esattamente come noi, solo con strumenti diversi.
E la complessità che hanno costruito – templi prima dell’agricoltura, città nella giungla, genomi mosaico – non era un compromesso necessario ma una caratteristica vincente.
Riferimenti
[1] Wikipedia, “Göbekli Tepe” (https://it.wikipedia.org/wiki/Göbekli_Tepe)
→ Panoramica sito archeologico, datazione X millennio a.C., significato rivoluzionario
[2] Smithsonian Magazine, “Gobekli Tepe: The World’s First Temple?” (https://www.smithsonianmag.com/history/gobekli-tepe-the-worlds-first-temple-83613665/)
→ Tesi Schmidt “prima il tempio, poi la città”
[3] Archaeology Magazine, “Last Stand of the Hunter-Gatherers?” (https://www.archaeology.org/issues/422-2105/features/9591-turkey-gobekli-tepe-hunter-gatherers)
→ Scoperte recenti: strutture domestiche, società ibrida
[4] Wikipedia, “Ancient DNA” (https://en.wikipedia.org/wiki/Ancient_DNA)
→ Storia paleogenetica dal 1984, rivoluzione NGS 2009
[5] Green R.E. et al., “A draft sequence of the Neandertal genome”, Science Vol. 328, 2010
→ Studio seminale genoma Neandertal, scoperta mescolamento con H. sapiens
[6] PBS News, “Ancient DNA revolution” (https://www.pbs.org/newshour/show/the-ancient-dna-revolution-unlocks-how-connected-we-all-are)
→ Intervista David Reich su scoperta Denisovani
[7] Archaeology Magazine, “Ancient DNA Revolution” (https://archaeology.org/collection/ancient-dna-revolution/)
→ Sintesi progressi ultimo decennio, Nobel Pääbo 2022
[8] Genome Biology, “Ancient DNA and the rewriting of human history” (https://genomebiology.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13059-015-0866-z)
→ Kostenki 14, calcolo timing mescolamento Neandertal
[9] LIDAR Magazine, “Airborne Lidar for Archaeology” (https://lidarmag.com/2019/04/01/airborne-lidar-for-archaeology-in-central-and-south-america/)
→ Funzionamento tecnico LIDAR, stima 400 anni scavi equivalenti
[10] Science (AAAS), “Laser mapping reveals oldest Amazonian cities” (https://www.science.org/content/article/laser-mapping-reveals-oldest-amazonian-cities-built-2500-years-ago)
→ Scoperta valle Upano 2024, 6.000 piattaforme
[11] Ancient Origins, “Lidar Scans Reveal Many Lost Cities” (https://www.ancient-origins.net/news-history-archaeology-ancient-places-americas/amazon-lidar-0021903)
→ Stime 10.000-24.000 opere terra non scoperte
[12] TechCrunch, “Lidar reveals undiscovered city” (https://techcrunch.com/2022/05/27/lidar-exposes-the-remnants-of-an-overgrown-ancient-civilization-in-the-amazon/)
→ Cultura Casarabe, citazione Prümers
[13] Wikipedia, “Recent African origin of modern humans” (https://en.wikipedia.org/wiki/Recent_African_origin_of_modern_humans)
→ Sintesi multiple ondate migratorie
[14] Posth C. et al., “Deeply divergent archaic mitochondrial genome”, Nature Communications Vol. 8, 2017
→ Migrazione 470-220.000 anni fa, sostituzione mtDNA neandertaliano
[15] Harvati K. et al., “Apidima Cave fossils”, Nature Vol. 571, 2019
→ Cranio Apidima 210.000 anni, più antico sapiens fuori Africa
[16] Bar-Yosef O., “The Upper Paleolithic Revolution”, Annual Review of Anthropology Vol. 31, 2002
→ Qafzeh/Skhul come vicolo cieco
[17] Fabrizio Musacchio, “The ‘Out of Africa’ theory” (https://www.fabriziomusacchio.com/weekend_stories/told/2025/2025-01-01-out_of_africa_theory/)
→ Rotte meridionali/settentrionali
[18] Chinese Academy of Sciences, “China discovers landmark fossils” (https://english.cas.cn/research/highlight/palaeontology/202412/t20241209_893813.shtml)
→ Hualongdong 300.000 anni, tratti intermedi
[19] Feng X. et al., “Yunxian frontal bone”, Science Vol. 376, 2025
→ Cranio Yunxian 1 milione anni
[20] Fu Q. et al., “Harbin cranium analysis”, Cell Vol. 188, 2025
→ Conferma H. longi = denisovano
[21] Green R.E. et al., “Neandertal genome”, Science Vol. 328, 2010
→ 1-4% DNA neandertaliano in non-africani
[22] ScienceDaily, “DNA of early Neanderthal” (https://www.sciencedaily.com/releases/2017/07/170705132917.htm)
→ Timeline migrazione intermedia Africa→Europa
[23] Chen L. et al., “Neanderthal Ancestry in African Individuals”, Cell Vol. 180, 2020
→ Retromigrazione, 0,5% DNA neandertaliano in africani
[24] Lazaridis I. et al., “Genomic insights into farming origin”, Nature Vol. 536, 2016
→ Basal Eurasians, diluizione DNA neandertaliano in Europa
[25] Natural History Museum UK, “When did modern humans spread” (https://www.nhm.ac.uk/discover/when-how-did-modern-humans-homo-sapiens-spread-out-of-africa.html)
→ Europa come teatro ibridazione
[26] Lalueza-Fox C. et al., “Melanocortin receptor in Neanderthals”, Science Vol. 318, 2007
→ Gene MC1R, pelle chiara capelli rossi
[27] Smithsonian Magazine, “Early Humans Migrated Several Times” (https://www.smithsonianmag.com/smart-news/early-humans-migrated-out-of-africa-several-times-dna-study-suggests-180984824/)
→ Citazione Akey “onde su spiaggia”
[28] Smithsonian Human Origins, “Ancient DNA and Neanderthals” (https://humanorigins.si.edu/evidence/genetics/ancient-dna-and-neanderthals)
→ Contributi genetici: immunità, adattamento, metabolismo
[29] LIDAR Magazine cit. [9]
[30] CNN, “Puzzling fossils unearthed in China” (https://www.cnn.com/2025/01/24/science/china-fossils-ancient-humans-homo-juluensis-denisovans)
→ Citazione McRae su fossili “un po’ un casino”

Leave a comment