Come i curatori di fiabe del XIX secolo hanno inventato la content moderation
Quando leggiamo che nella versione “originale” di Cenerentola le sorellastre si mutilano i piedi per infilare la scarpetta — una si taglia le dita, l’altra il tallone — e che alla fine del matrimonio i piccioni cavano loro gli occhi, la prima reazione è di scandalo retrospettivo. “Com’era violenta la cultura popolare prima che Disney la ripulisse!”. È una lettura comoda, ma sbagliata. Il problema non è che le fiabe fossero intrinsecamente crude: è che qualcuno ha sempre deciso quale crudeltà mostrare e quale nascondere, e quel qualcuno non era mai neutrale.
La violenza nelle fiabe non è il residuo barbarico di un passato ignorante. È il risultato di scelte editoriali precise, fatte da persone con agende culturali, politiche e morali specifiche. I fratelli Grimm non “preservavano” la tradizione orale tedesca: la filtravano attraverso il nazionalismo tedesco ottocentesco. Charles Perrault non “raccoglieva” folklore francese: lo riscriveva per i salotti aristocratici di Luigi XIV. Hans Christian Andersen non trascriveva leggende popolari: inventava storie per metabolizzare i suoi traumi personali.
Quello che sembra un dibattito sul folklore è in realtà la genealogia della content moderation. E vale la pena capirla bene, perché il meccanismo — decidere cosa può essere raccontato, a chi, e in quale forma — non è sparito con l’avvento della stampa industriale. Si è solo reso invisibile.
I Grimm e l’illusione della “conservazione”
Jacob e Wilhelm Grimm pubblicano la prima edizione delle Kinder- und Hausmärchen nel 1812. L’obiettivo dichiarato: preservare la cultura popolare tedesca, salvare dall’oblio le storie che le donne raccontavano filando la lana nelle sere d’inverno. È un progetto che si vuole scientifico, filologico, fedele. E per questo ci fidiamo: quando diciamo “versione originale dei Grimm”, pensiamo di accedere a una fonte primaria autentica, il folklore tedesco cristallizzato sulla pagina.
È una finzione.
Wilhelm Grimm passa vent’anni a modificare, limare, riscrivere quelle storie attraverso sette edizioni successive (l’ultima nel 1857). E non sono ritocchi stilistici: sono interventi ideologici profondi[1]. Le madri biologiche crudeli diventano matrigne — perché l’ideale borghese della maternità ottocentesca non può tollerare che una madre vera maltratti i figli. I riferimenti sessuali spariscono: niente gravidanze ambigue, niente seduzione, niente corpi. Il linguaggio si “germanizza”: via le influenze francesi, dentro una prosa che suona come das deutsche Volk vorrebbe che suonasse[2].
La fiaba di Raperonzolo è esemplare. Nella versione del 1812, il principe visita la ragazza nella torre e lei rimane incinta — il testo lo dice esplicitamente. Nell’edizione del 1857, la gravidanza viene occultata: Raperonzolo si tradisce solo perché i vestiti “le vanno stretti”. Il risultato è che generazioni di lettori tedeschi sono cresciuti pensando di leggere fiabe “autentiche”, mentre stavano leggendo Wilhelm Grimm che riscriveva il folklore secondo i suoi valori[3].
La lezione è chiara: la preservazione è sempre curatela. Non puoi trascrivere senza interpretare, non puoi pubblicare senza scegliere cosa includere e cosa no. I Grimm non erano cattivi filologi — erano semplicemente umani, immersi in un progetto nazionalista che cercava di costruire un’identità tedesca attraverso la narrazione. E lo hanno fatto magnificamente: oggi pensiamo che quelle siano le fiabe tedesche, quando in realtà sono la Germania che Wilhelm voleva vedere riflessa nelle fiabe.
Perrault e la violenza che conta (per l’aristocrazia)
Charles Perrault pubblica Histoires ou contes du temps passé nel 1697, più di un secolo prima dei Grimm. Il contesto è completamente diverso: non c’è nazionalismo romantico, non c’è filologia ottocentesca. C’è il Salotto, la préciosité, l’estetica della conversazione colta. Perrault scrive per l’aristocrazia francese — e l’aristocrazia francese ha gusti molto specifici su quale violenza sia tollerabile e quale no[4].
La Bella Addormentata nel Bosco è il caso perfetto. La versione di Giambattista Basile (Sole, Luna e Talia, dal Pentamerone del 1634) è atroce: il principe trova la principessa addormentata e la violenta mentre dorme. Lei rimane incinta, partorisce due gemelli nel sonno, e si sveglia solo quando uno dei neonati le succhia il dito rimuovendo il fuso avvelenato. La moglie del principe, scoperta la relazione, ordina di cucinare i bambini e servirglieli a tavola. È cannibalismo, stupro, violenza sessuale sistematica[5].
Perrault cancella tutto. Nella sua versione, il principe sveglia la principessa con un bacio (non con uno stupro), i bambini nascono dopo il matrimonio (non prima), e la moglie cattiva diventa semplicemente un’ogre che vuole mangiare i nipoti — ma viene fermata prima che ci riesca. La violenza sessuale scompare completamente; quella fisica rimane, ma addomesticata, trasformata in archetipi fiabeschi accettabili[6].
Perché questa selezione? Perché la violenza domestica e sessuale era troppo vicina alla realtà dell’aristocrazia francese del Seicento. Stuprare serve non impiegate era normalizzato; i matrimoni combinati producevano tensioni familiari letali; il potere patriarcale si esercitava attraverso il controllo dei corpi femminili. Perrault non poteva rappresentare quella violenza senza costringere il suo pubblico a riconoscerla — e riconoscerla avrebbe significato ammetterne la complicità[7].
La violenza fantastica è accettabile: mostri, streghe, orchi. La violenza realistica no: mariti violenti, suocere crudeli, madri che abbandonano figli. Perrault non sta “addolcendo” le fiabe per renderle adatte ai bambini (i bambini aristocratici del Seicento vedevano cose peggiori). Sta curando il repertorio per proteggere la sensibilità adulta della classe dominante.
Andersen e il dolore che serve (a chi scrive)
Hans Christian Andersen non raccoglie folklore. Inventa. Ogni sua fiaba è autobiografia mascherata, trauma personale trasformato in metafora. La Sirenetta (1837) non è una storia d’amore: è Andersen che elabora l’amore non corrisposto per Edvard Collin, il figlio del suo benefattore, attraverso il corpo mutilato di una ragazza che scambia la voce per due gambe che le fanno male a ogni passo[8].
La sirenetta non sposa il principe. Non ottiene l’anima immortale. Si scioglie in schiuma di mare all’alba, dopo che il principe ha sposato un’altra donna. La versione Disney del 1989 inverte il finale — Ariel sposa Eric, canta felice — e generazioni di spettatori hanno pensato che fosse “l’originale”. Ma Andersen aveva scritto il suicidio, non il matrimonio. Aveva scritto il dolore come unica conclusione possibile per chi ama senza essere amato[9].
Questo è lo stile Andersen: il sacrificio nobile che non redime. Ne L’Usignolo e la Rosa (no, scusate, quella è di Oscar Wilde, ma segue lo stesso meccanismo), un usignolo si sacrifica per creare una rosa rossa — si infila una spina nel cuore e canta mentre il sangue colora i petali. Il giovane porta la rosa alla ragazza che ama. Lei la rifiuta: preferisce i gioielli[10]. Il sacrificio è stato inutile, il dolore non ha prodotto nulla, la bellezza non ha valore.
Wilde radicalizza Andersen: in Andersen il dolore ha almeno dignità morale, anche se non viene ricompensato. In Wilde, il dolore è stupido, cieco, insignificante. L’usignolo muore e il mondo continua come se niente fosse. È Andersen riscritto attraverso una visione nietzschiana della vulnerabilità: il sacrificio nobile non ti salva dalla stupidità del mondo. È la crudeltà più sofisticata, perché non c’è nemmeno catarsi.
Basile, invece, rappresenta lo stile Grimm portato all’eccesso: il Pentamerone è violenza bruta, sessualità esplicita, cannibalismo grafico. Non c’è filtro morale, non c’è curatela estetica. È il folklore trascritto senza mediazione — o almeno, con meno mediazione di quanto faranno i suoi eredi[11]. Ma anche Basile sceglie: sceglie di mantenere lo shock, sceglie di non proteggere il lettore, sceglie una visione del mondo in cui la violenza è naturale quanto il respiro.
Cosa significa, oggi?
Ricapitoliamo:
- I Grimm nascondono il sesso ma mantengono la violenza (che serve alla morale nazionalista tedesca).
- Perrault nasconde la violenza domestica ma mantiene quella fantastica (che non minaccia l’aristocrazia).
- Andersen inventa tragedie personali (che servono al suo bisogno di elaborare il trauma).
- Basile mantiene tutto (perché la sua audience non chiede protezione).
- Wilde inventa sacrifici inutili (per mostrare che il mondo non premia la nobiltà).
Ognuno di loro cura il repertorio narrativo secondo criteri specifici. Ognuno decide quale violenza è rappresentabile e quale no, quale messaggio morale passa e quale viene filtrato. E ognuno lo fa per motivi che hanno a che fare con il potere, la classe, la nazionalità, il trauma personale.
La domanda non è: “Qual è la versione vera?”. Non esiste versione vera. Ogni fiaba che leggiamo è stata curata, modificata, riscritta da qualcuno con un’agenda. La scarpetta che Cenerentola infila non è mai calzata perfettamente a nessuno: è sempre stata troppo stretta o troppo larga, e qualcuno ha sempre dovuto tagliare o imbottire per farla sembrare quella giusta.
Il problema è che nel XIX secolo questo meccanismo era visibile. Sapevi di stare leggendo i Grimm, o Perrault, o Andersen. Sapevi che c’era un autore, un editore, una scelta. Oggi no.
Oggi abbiamo algoritmi di raccomandazione che decidono quali storie vedi su TikTok, content moderator che cancellano post su Instagram seguendo linee guida segrete, feed personalizzati che ti mostrano una realtà cucita addosso ai tuoi pregiudizi. E tutto questo si presenta come neutrale, come “la piattaforma”, come “i contenuti”. Nessun nome, nessun volto, nessuna agenda dichiarata.
È la stessa operazione di Wilhelm Grimm che riscrive Raperonzolo per togliere la gravidanza: curatela ideologica che si maschera da preservazione oggettiva. Con una differenza: Wilhelm firmava le sue edizioni. L’algoritmo no.
Nel prossimo articolo esploreremo come funziona questa curatela invisibile nei sistemi digitali contemporanei: chi decide cosa vediamo, secondo quali criteri, e perché dovremmo preoccuparci che il curatore non abbia più un nome. Spoiler: la scarpetta continua a non calzare, ma adesso neanche sappiamo più chi la sta limando.
Riferimenti
[1] Tatar, M. (2004). The Annotated Brothers Grimm. W.W. Norton & Company. Capitolo introduttivo.
[2] Zipes, J. (2002). The Brothers Grimm: From Enchanted Forests to the Modern World. Palgrave Macmillan. Analisi delle modifiche tra le sette edizioni.
[3] Grimm, J. & Grimm, W. (1812/1857). Kinder- und Hausmärchen. Confronto tra prima e settima edizione disponibile in edizioni critiche moderne.
[4] Barchilon, J. (1975). “Uses of the Fairy Tale in the Eighteenth Century”. Journal of the History of Ideas, 36(1), 73-84.
[5] Basile, G. (1634-1636). Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille (Il Pentamerone). Versione “Sole, Luna e Talia”.
[6] Perrault, C. (1697). Histoires ou contes du temps passé, avec des moralitez. Versione “La Belle au bois dormant”.
[7] Seifert, L. C. (1996). Fairy Tales, Sexuality, and Gender in France 1690-1715. Cambridge University Press.
[8] Andersen, H. C. (1837). Den lille havfrue (La Sirenetta). Edizione originale danese.
[9] Wullschlager, J. (2000). Hans Christian Andersen: The Life of a Storyteller. University of Chicago Press. Capitolo sulla relazione con Edvard Collin.
[10] Wilde, O. (1888). “The Nightingale and the Rose”, in The Happy Prince and Other Tales.
[11] Canepa, N. L. (Ed.) (2007). Giambattista Basile’s The Tale of Tales, or Entertainment for Little Ones. Wayne State University Press. Introduzione critica.
[12] Warner, M. (1995). From the Beast to the Blonde: On Fairy Tales and Their Tellers. Farrar, Straus and Giroux. Analisi comparativa delle tradizioni europee di fiabe.

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