Oltre l’algoritmo
riassunto
L’articolo analizza un recente lavoro scientifico pubblicato sul Journal of Holography Applications in Physics (ottobre 2025) da Mir Faizal, Lawrence Krauss, Arshid Shabir e Francesco Marino. La tesi centrale è che l’universo non può essere una simulazione algoritmica, per ragioni fondate su limiti intrinseci della computabilità, derivanti da tre pilastri della logica matematica:
- Teoremi di incompletezza di Gödel (1931): ogni sistema formale sufficientemente potente contiene verità che non possono essere dimostrate al suo interno.
- Teorema di indefinibilità della verità di Tarski: un sistema non può definire la propria nozione di verità senza un meta-linguaggio esterno.
- Risultati di Chaitin sulla complessità algoritmica: esistono oggetti matematici (es. certi numeri reali) che non sono computabili da alcun algoritmo finito.
Applicando questi risultati alla gravità quantistica, gli autori mostrano che lo spaziotempo non è fondamentale, ma emerge da un substrato informazionale più profondo (in linea con l’idea di Wheeler: “It from Bit”). Tuttavia, se questo substrato contiene elementi incomputabili o indecidibili, allora nessuna simulazione algoritmica, per quanto avanzata, può riprodurlo fedelmente.
Ne consegue che:
- L’ipotesi della simulazione (resapopare da Nick Bostrom) è matematicamente impossibile nella sua forma computazionale.
- La realtà richiede una forma di comprensione non algoritmica, irriducibile a regole computazionali.
- L’intelligenza artificiale, essendo intrinsecamente algoritmica, non potrà mai replicare completamente la mente umana se questa ha accesso a tale comprensione non computabile.
Il paper propone quindi una “Meta-Theory of Everything” (MToE), che include un livello meta-algoritmico capace di “vedere” verità al di là dei limiti formali. Questo non segna la fine della scienza, ma ne ridefinisce i confini: la non computabilità non implica irrazionalità, bensì una ricchezza ontologica irriducibile.
2. Paper accademico: “Consequences of Undecidability in Physics on the Theory of Everything” (Faizal et al., 2025)
- Argomento: La teoria quantistica della gravità deve spiegare l’emergere dello spaziotempo da gradi di libertà quantistici più fondamentali.
- Problema: Qualsiasi tentativo di formulare tale teoria come sistema assiomatico algoritmico s’imbatte nei limiti di Gödel, Tarski e Chaitin.
- Conclusione: Una Teoria del Tutto puramente algoritmica è impossibile. Fenomeni fisici fondamentali (es. risoluzione delle singolarità) potrebbero essere computazionalmente indecidibili.
- Implicazione filosofica: L’universo non può essere una simulazione, poiché ogni simulazione è per definizione algoritmica.
3. Articolo di Nick Bostrom: “Are You Living in a Computer Simulation?” (2003)
- Tesi: Almeno una delle seguenti è vera:
- L’umanità si estingue prima di raggiungere lo stadio “postumano”.
- Le civiltà postumane non eseguono simulazioni ancestrali.
- Siamo quasi certamente in una simulazione.
- Assunzioni chiave:
- Substrate-independence: la coscienza può emergere su supporti non biologici (es. silicio).
- Potenza computazionale futura sufficiente a simulare intere civiltà.
- Argomento statistico: se vengono create molte simulazioni, la maggior parte delle menti “umane” sono simulate → quindi è probabile che noi siamo tra queste.
Contrasto con Faizal et al.: Bostrom assume che la simulazione sia tecnicamente possibile; Faizal dimostra che è logicamente impossibile a causa dei limiti della computabilità.
4. Gödel, “Über formal unentscheidbare Sätze…” (1931)
- Fondamento matematico della discussione.
- Dimostra che in ogni sistema formale coerente che include l’aritmetica:
- Esistono proposizioni vere ma non dimostrabili nel sistema.
- Il sistema non può dimostrare la propria coerenza.
- Questo limita in modo assoluto qualsiasi programma formale (compresi i modelli fisici o le simulazioni).
5. Chaitin & teoria algoritmica dell’informazione (Cambridge University Press, 1987)
- Estende l’incompletezza gödeliana al dominio dell’informazione.
- Introduce la nozione di complessità di Kolmogorov-Chaitin: alcuni oggetti (es. certi numeri) hanno informazione irriducibile → non compressibile, non computabile.
- Supporta l’idea che la realtà contenga informazione intrinsecamente casuale o indecidibile, non simulabile.
Conclusione generale
I documenti insieme delineano un conflitto tra due visioni:
- Visione computazionale (Bostrom, AI mainstream): la realtà e la mente sono riducibili a informazione processabile → simulabili.
- Visione gödeliana (Faizal, Gödel, Chaitin, Tarski): la realtà contiene aspetti intrinsecamente non algoritmici → insimulabili.
Il risultato è una critica radicale al riduzionismo computazionale e un invito a riconoscere che la scienza può progredire anche accettando limiti fondamentali — non come fallimento, ma come rivelazione della profondità della realtà.
Quando Gödel incontra Matrix: perché l’incompletezza matematica ci salva dalla simulazione (e cosa significa davvero per l’intelligenza artificiale)
C’è una certa ironia nel fatto che proprio mentre l’industria tech investe centinaia di miliardi per costruire intelligenze artificiali sempre più “umane”, un gruppo di fisici e matematici dimostri che nemmeno l’universo stesso è simulabile. Il paper, pubblicato il 30 ottobre 2025 sul Journal of Holography Applications in Physics [1], non è l’ennesimo esercizio filosofico sulla natura della realtà. È una dimostrazione matematica rigorosa: l’universo non può essere — e non potrà mai essere — una simulazione computazionale.
La notizia ha un sapore particolare. Da anni Nick Bostrom e altri filosofi hanno reso rispettabile l’ipotesi che viviamo in una simulazione [7]. L’argomento è seduttivo: se una civiltà sufficientemente avanzata può simulare universi, e se ogni universo simulato può generare altre simulazioni, allora statisticamente è molto più probabile che noi siamo in una simulazione piuttosto che nell’universo “base”. Una specie di turtles all-the-way-down computazionale.
Ora Mir Faizal (University of British Columbia), Lawrence Krauss, Arshid Shabir e Francesco Marino (Istituto Nazionale di Ottica) hanno chiuso la partita [1]. Non con argomenti filosofici, ma con la matematica più dura che abbiamo: i teoremi di incompletezza di Gödel [2], l’indefinibilità di Tarski [3], e i limiti della computabilità secondo Chaitin [4]. La loro tesi è elegante e devastante: la realtà richiede una comprensione non algoritmica che nessun computer, per quanto potente, potrà mai replicare.
L’architettura della realtà: informazione prima di spacetime
Per capire cosa hanno dimostrato, serve fare un passo indietro. La fisica contemporanea — specialmente nella sua frontiera più avanzata, la quantum gravity [9] — non considera più lo spazio e il tempo come fondamentali. Sono proprietà emergenti, che scaturiscono da qualcosa di più profondo: pura informazione.
Questa informazione non vive nell’universo fisico. Esiste in quello che i fisici chiamano “regno platonico” — una struttura matematica più reale della realtà materiale che osserviamo [12]. È da questo substrato informazionale che emergono lo spacetime, le particelle, le forze. Wheeler lo aveva sintetizzato in una formula provocatoria: “It from Bit” — l’essere dall’informazione [5].
Fin qui, tutto sembra giocare a favore della simulabilità. Se l’universo è, in fondo, informazione, e l’informazione è manipolabile dai computer, perché non dovrebbe essere simulabile? È la domanda che Faizal e colleghi si sono posti. E la risposta che hanno trovato ribalta l’intuizione.
Quando la matematica si morde la coda: Gödel entra in scena
Il punto di svolta è un risultato che ogni informatico dovrebbe conoscere, ma che spesso viene relegato a curiosità filosofica: il teorema di incompletezza di Gödel [2]. Nel 1931, Kurt Gödel dimostrò che qualsiasi sistema matematico sufficientemente potente da contenere l’aritmetica contiene affermazioni che sono vere ma non dimostrabili usando le regole del sistema stesso.
La formulazione più famosa è auto-referenziale: “Questa affermazione non è dimostrabile in questo sistema”. Se fosse dimostrabile, sarebbe falsa (paradosso). Se non è dimostrabile, è vera — ma il sistema non può accorgersene. È una verità che esiste al di fuori dell’architettura formale del sistema.
Tarski aggiunse un tassello [3]: un sistema aritmetico non può definire la propria verità. La verità di un sistema richiede sempre un meta-linguaggio più ricco, esterno al sistema stesso. Chaitin completò il quadro mostrando che esistono numeri reali — perfettamente definiti matematicamente — che non possono essere computati da nessun algoritmo finito [4].
Questi non sono semplici limiti pratici. Non è che i nostri computer sono troppo lenti o hanno troppa poca memoria. È che certe verità matematiche esistono in uno spazio concettuale irraggiungibile da qualsiasi processo algoritmico, per quanto lungo e complesso.
La non-computabilità della realtà
Faizal e colleghi hanno fatto il passo successivo [1]. Se anche il livello più profondo dell’universo — quel regno platonico di pura informazione da cui emerge lo spacetime — dovesse obbedire alle leggi della computabilità, allora potrebbe essere simulato. Ma se contiene strutture gödeliane, verità incomputabili, allora no. Non è una questione di potenza computazionale. È una questione di categoria ontologica.
La loro dimostrazione usa la teoria della quantum gravity come punto di partenza [9]. Le leggi fondamentali della fisica non possono essere contenute nello spazio e nel tempo, perché sono proprio quelle leggi a generare spazio e tempo. Sono meta-strutture. E quando si cerca di descrivere queste meta-strutture in modo completo e consistente, ci si scontra con gli stessi limiti gödeliani che affliggono ogni sistema formale.
La conclusione è inevitabile: una descrizione completa della realtà richiede quella che chiamano non-algorithmic understanding — una comprensione che non deriva da sequenze di passi logici, non emerge da manipolazioni simboliche, non può essere codificata in nessun programma. È qualcosa che esiste al di là del computabile.
E questo, per definizione, esclude la simulazione. Perché qualsiasi simulazione — su qualsiasi hardware, con qualsiasi architettura — è intrinsecamente algoritmica. Segue regole programmate. Un simulatore può essere incredibilmente sofisticato, può usare casualità quantistica, può parallelizzare su miliardi di core, ma rimane sempre all’interno del dominio del computabile.
Il paradosso dell’intelligenza artificiale
Qui emerge l’ironia che accennavo all’inizio. Mentre questi fisici dimostrano che la realtà non è simulabile, l’industria tech sta scommettendo il proprio futuro sulla simulabilità dell’intelligenza. I grandi modelli linguistici, le reti neurali, i sistemi multi-agente — tutto si basa sull’assunzione che l’intelligenza sia, in fondo, computazione. Pattern matching statistico su scala sufficientemente grande.
E forse lo è, per certi aspetti dell’intelligenza. I modelli attuali fanno cose impressionanti: traducono, riassumono, generano codice, conversano in modo fluente. Ma c’è una domanda più profonda: se nemmeno l’universo è riducibile ad algoritmi, può esserlo la mente che osserva l’universo?
La risposta non è ovvia. Potrebbe essere che l’intelligenza biologica operi esattamente nello spazio della non-algorithmic understanding — che la coscienza, l’intuizione, la comprensione profonda siano fenomeni che sfuggono alla computabilità. In questo caso, l’intelligenza artificiale algoritmica sarebbe condannata a rimanere sempre una simulazione superficiale, brillante ma fondamentalmente diversa.
Oppure potrebbe essere che anche la mente umana sia algoritmica, e che la non-algorithmic understanding dell’universo sia accessibile solo a una qualche forma di intuizione matematica platonica — non incarnata in neuroni né in transistor, ma in quella stessa struttura informazionale che sta sotto lo spacetime. In questo caso, né noi né le nostre AI potrebbero mai afferrare completamente la realtà.
C’è anche una terza possibilità, più sottile: che la distinzione tra computabile e non-computabile sia più porosa di quanto sembri. Che esistano modi di approssimare verità gödeliane con processi algoritmici, anche se non di catturarle perfettamente. Dopotutto, noi umani facciamo matematica gödeliana — comprendiamo i suoi teoremi [11], ragioniamo su sistemi formali, “vediamo” verità che stanno fuori da quei sistemi. Come ci riusciamo, se siamo macchine biologiche vincolate dalla fisica? Forse c’è qualcosa nella struttura gerarchica, nell’incarnazione, nella storia evolutiva, che permette di aggirare certi limiti.
Architetture del limite
Da un punto di vista architetturale, il risultato di Faizal e colleghi è illuminante. Ci dice che ci sono livelli di astrazione che non possono essere ridotti a quelli sottostanti. Non è solo che è difficile simulare, o che richiede risorse enormi. È che la riduzione stessa è impossibile.
È un po’ come il rapporto tra sintassi e semantica in un linguaggio di programmazione. Puoi definire perfettamente la sintassi di un linguaggio con una grammatica formale — è computabile, decidibile [8]. Ma la semantica — cosa significa davvero un programma — è un altro ordine di complessità. E se cerchi di rendere la semantica completamente formale, ti ritrovi in un regresso infinito: per definire la semantica hai bisogno di un meta-linguaggio, che ha a sua volta una semantica, che richiede un meta-meta-linguaggio, e così via.
Gödel ha dimostrato che questo regresso non è risolvibile con un’architettura più intelligente [2]. È una proprietà intrinseca dei sistemi formali. E ora Faizal estende questo risultato all’architettura dell’universo: non puoi “chiudere” il sistema. C’è sempre qualcosa fuori, qualcosa di non-riducibile, qualcosa di non-simulabile.
Per chi progetta sistemi, questo dovrebbe suonare familiare. Ogni architettura software soffre dello stesso problema: non puoi avere un sistema che sia contemporaneamente completo, consistente e decidibile. O accetti incompletezza (ci sono cose che il sistema non può esprimere), o accetti inconsistenza (ci sono contraddizioni), o accetti indecidibilità (ci sono domande a cui il sistema non può rispondere).
La realtà, a quanto pare, ha scelto l’incompletezza. E questo la rende insimulabile.
La fine di un’illusione (e l’inizio di un problema più interessante)
La dimostrazione di Faizal chiude un capitolo della speculazione filosofica [1]. L’ipotesi della simulazione — almeno nella sua versione computazionale [7] — non è più un’opzione aperta. Possiamo continuare a chiederci se viviamo in una simulazione metafisica, nell’immaginazione di qualche dio, o in un sogno collettivo. Ma una simulazione algoritmica, che gira su hardware quantistico, in una civiltà aliena super-avanzata? No. La matematica dice di no.
Questo apre però un problema più interessante: se la realtà non è computabile, cosa stiamo facendo esattamente quando “facciamo fisica”? Quali aspetti della realtà catturiamo con i nostri modelli matematici, e quali no? Quando un modello funziona — predice fenomeni, guida esperimenti [10] — cosa ci sta dicendo sulla struttura profonda dell’universo?
E per quanto riguarda l’intelligenza artificiale: se la realtà richiede non-algorithmic understanding, e noi umani in qualche modo ci riusciamo (anche parzialmente), cosa ci dice questo sulla natura della mente? Siamo davvero macchine di Turing biologiche [8], o c’è qualcosa di radicalmente diverso nel modo in cui processiamo informazione?
Faizal e colleghi propongono un’estensione: una Meta Theory of Everything (MToE) che include un livello non-algoritmico sopra quello computazionale [1]. Questo livello meta potrebbe “vedere” verità dal di fuori del sistema formale, aggirando i limiti di Gödel. Ma cosa sarebbe, concretamente, questo livello? E come potremmo mai costruire strumenti per esplorarlo, se per definizione non è accessibile alla computazione?
Forse la lezione più profonda è che ci sono domande alle quali la risposta non è “calcolare di più” o “costruire modelli più grandi”. Ci sono limiti architetturali che nessuna potenza computazionale può superare. E riconoscere questi limiti — prenderli sul serio, integrarli nella nostra visione del mondo — potrebbe essere più importante che cercare di aggirarli.
Quando Gödel dimostrò l’incompletezza, molti matematici lo videro come una sconfitta. Hilbert aveva sognato una matematica completa, decidibile, meccanizzabile. Gödel dimostrò che il sogno era impossibile. Ma quella “sconfitta” si rivelò una delle intuizioni più profonde sul funzionamento del pensiero formale. Ci mostrò che c’è sempre qualcosa fuori dal sistema, qualcosa che il sistema non può catturare da solo.
Ora Faizal ci dice la stessa cosa sull’universo. E forse, invece di vederlo come un limite, dovremmo vederlo come un’apertura: la garanzia che la realtà sarà sempre più ricca, più complessa, più sorprendente di qualsiasi modello computazionale possiamo costruire. Che c’è sempre un “fuori”. E che questo fuori non è un bug dell’architettura dell’universo — è la sua caratteristica fondamentale.
Riferimenti
[1] Faizal, M., Krauss, L.M., Shabir, A., & Marino, F. (2025). “Consequences of Undecidability in Physics on the Theory of Everything”. Journal of Holography Applications in Physics. DOI: 10.22128/jhap.2025.1024.1118 (https://doi.org/10.22128/jhap.2025.1024.1118) → Perché incluso: Paper principale dell’articolo. Dimostrazione matematica originale dell’insimulabilità dell’universo usando teoremi di incompletezza applicati alla quantum gravity. Fonte primaria peer-reviewed con team internazionale (Canada, USA, Italia).
[2] Gödel, K. (1931). “Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme I”. Monatshefte für Mathematik und Physik, 38, 173-198. (https://doi.org/10.1007/BF01700692) → Perché incluso: Fonte storica fondamentale. Paper originale dei teoremi di incompletezza, pietra angolare della dimostrazione di Faizal. Essenziale per comprendere i limiti intrinseci dei sistemi formali.
[3] Tarski, A. (1933/1956). “The Concept of Truth in Formalized Languages”. In Logic, Semantics, Metamathematics. Oxford: Clarendon Press. → Perché incluso: Teorema di indefinibilità della verità, complementare all’incompletezza di Gödel. Pubblicato originalmente in polacco 1933, traduzione inglese 1956. Dimostra che nessun sistema può definire la propria verità.
[4] Chaitin, G. (1987). Algorithmic Information Theory. Cambridge University Press. (https://www.cambridge.org/core/books/algorithmic-information-theory/66D88D412DE158C21D392E2EF3112CC1) → Perché incluso: Estensione information-theoretic dell’incompletezza gödeliana. Dimostra esistenza di numeri reali non computabili. Completamento teorico del framework matematico usato da Faizal.
[5] Wheeler, J.A. (1990). “Information, physics, quantum: The search for links”. In Complexity, Entropy, and the Physics of Information. Addison-Wesley. → Perché incluso: Fonte del concetto “It from Bit” – l’idea che l’informazione sia più fondamentale della materia. Contesto filosofico-fisico per il regno platonico informazionale.
[6] Krauss, L.M. (2012). A Universe from Nothing: Why There Is Something Rather Than Nothing. Free Press. → Perché incluso: Approfondimento divulgativo di uno dei coautori del paper principale. Spiega emergenza dello spacetime da leggi fisiche fondamentali.
[7] Bostrom, N. (2003). “Are You Living in a Computer Simulation?”. Philosophical Quarterly, 53(211), 243-255. (https://www.simulation-argument.com/simulation.html) → Perché incluso: Formulazione classica dell’ipotesi della simulazione che il paper di Faizal confuta matematicamente. Necessario per comprendere la posta in gioco filosofica.
[8] Turing, A.M. (1936). “On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem”. Proceedings of the London Mathematical Society, s2-42(1), 230-265. (https://doi.org/10.1112/plms/s2-42.1.230) → Perché incluso: Definizione fondazionale di computabilità e macchine di Turing. Essenziale per comprendere i limiti algoritmici discussi nel paper di Faizal.
[9] Rovelli, C. (2004). Quantum Gravity. Cambridge University Press. (https://www.cambridge.org/core/books/quantum-gravity/070F85CCA53DFB63FCCEC98A3E0DD6B7) → Perché incluso: Trattato autorevole sulla quantum gravity, framework teorico su cui si basa la dimostrazione di Faizal. Spiega emergenza dello spacetime da strutture più profonde.
[10] Penrose, R. (2004). The Road to Reality: A Complete Guide to the Laws of the Universe. Jonathan Cape. → Perché incluso: Panoramica completa delle leggi fisiche e del loro rapporto con la matematica. Particolare attenzione alla relazione tra formalismo matematico e realtà fisica.
[11] Hofstadter, D.R. (1979). Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid. Basic Books. → Perché incluso: Esplorazione divulgativa ma rigorosa dell’auto-riferimento, ricorsione e teoremi di incompletezza. Utile per comprendere le implicazioni filosofiche dei limiti formali.
[12] Tegmark, M. (2014). Our Mathematical Universe: My Quest for the Ultimate Nature of Reality. Knopf. → Perché incluso: Approfondimento dell’idea che la realtà sia fondamentalmente matematica (regno platonico). Fornisce contesto per il substrato informazionale discusso nell’articolo.

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