Il Ponte che Attraversa la Burocrazia

Quando le architetture istituzionali hanno più campate dell’ingegneria

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  • Si analizza la vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina recentemente bocciato dalla Corte dei Conti per violazioni di norme europee, sostenibilità ambientale dubbia e l’esclusione di autorità obbligatorie.
  • Nonostante il parere negativo della Corte, il governo annuncia che l’opera procederà ugualmente, sfruttando la clausola della “registrazione con riserva” invocando interessi pubblici superiori.
  • Viene descritta la storia decennale del progetto: dagli anni ‘60 ad oggi, con numerosi annunci, costi lievitati (da 2 a 13,5 miliardi di euro), gare mancanti e problemi ambientali aggirati tramite la classificazione “militare”.
  • L’articolo critica il sistema dei controlli italiani, che diventano di fatto facoltativi, e sottolinea come la responsabilità politica non abbia conseguenze pratiche.
  • Si evidenzia il conflitto istituzionale tra sovranità del governo e sistema di controlli.
  • Vengono riportati i rilievi tecnici della Corte dei Conti: mancata nuova gara, esclusione delle Autorità dei Trasporti, uso di stime di traffico poco affidabili, rischio di infrazione europea.
  • Si riflette sull’impatto reale dell’opera, sostenendo che la Sicilia avrebbe bisogno di infrastrutture diffuse più che di grandi opere simboliche.
  • Il meccanismo della “registrazione con riserva” viene descritto come compromesso che di fatto neutralizza i controlli.
  • Conclusione: il ponte rappresenta più un simbolo politico che una vera soluzione infrastrutturale e mette in discussione la trasparenza e la legalità del sistema italiano.

Sono citate fonti come Il Fatto Quotidiano, Open, Sky TG24, Euronews, Economia Italia, normativa UE, decreti e delibere ministeriali recenti.

Ho letto la notizia il 29 ottobre 2025, mentre facevo colazione. La Corte dei Conti boccia il Ponte sullo Stretto. Penso: bene, finalmente qualcuno che dice no. Il giorno dopo, 30 ottobre, il governo annuncia che l’opera andrà avanti lo stesso. Come? Con la registrazione “con riserva” per interessi pubblici superiori. In pratica: abbiamo sentito i vostri dubbi, grazie, ma facciamo come ci pare.

Non è la prima volta che succede. Non sarà l’ultima. Ma qui stiamo parlando di 13,5 miliardi di euro – bocciati per violazioni di norme europee, sostenibilità ambientale dubbia, esclusione di authority obbligatorie. Eppure può procedere. Perché esiste una clausola magica che dice: “se il governo se ne assume la responsabilità politica, si fa comunque”.

E io mi chiedo: ma davvero funziona così? Costruiamo un sistema di controlli, paghiamo magistrati contabili per verificare che i soldi pubblici vengano spesi secondo legge, e poi quando dicono “no” rispondiamo “vabbè, ma noi andiamo avanti lo stesso”?

Il punto interessante non è la sfida ingegneristica – sospendere 3.300 metri di acciaio sopra acque sismiche è roba da primato mondiale. Il punto è che abbiamo costruito un’architettura istituzionale in cui un ponte può essere contemporaneamente illegittimo e inarrestabile. I controlli esistono, certo. Ma sono opzionali.

Sessant’Anni e Non Sentirli

Prova a immaginare: è il 1968, hai vent’anni, leggi che stanno progettando il ponte sullo Stretto. Pensi: wow, lo vedrò presto. Nel 1971 nasce la Società Stretto di Messina. Nel 2011 – hai ormai sessantatré anni – il progetto viene approvato. Nel 2013 tutto muore. Nel 2023 risorge. Oggi hai settantasette anni. Il ponte? Ancora sulla carta. Zero piloni piantati.

Sessant’anni. Centinaia di milioni spesi in studi, consulenze, progettazioni, riprogettazioni. E niente.

Nel 2013 il governo Monti decise di mettere tutto in liquidazione. Il problema? Eurolink – il consorzio guidato da Webuild – aveva già un contratto firmato. Risultato: contenzioso legale che è costato centinaia di milioni. La soluzione del 2023? Riattivare tutto com’era. Stessa società, stesso progetto, stesso contraente. Come se un decennio non fosse passato. Come se normative europee, sismiche, climatiche non fossero cambiate nel frattempo.

La Corte dei Conti ha messo il dito nella piaga:

  • Costi quintuplicati (da 2 a 13,5 miliardi) senza fare una nuova gara, in violazione della Direttiva UE 2014/24 che impone gara pubblica quando si supera il 50% del bando originale
  • Autorità dei Trasporti esclusa dal procedimento (tipo invitare tutti a cena tranne quello che sa cucinare)
  • Conformità ambientale dubbia, risolta dichiarando l’opera “di interesse militare” per aggirare i vincoli (sì, hai letto bene: militare)
  • Piano economico-finanziario basato su stime di traffico che anche mia nonna avrebbe contestato

Non sono cavilli burocratici. Sono violazioni di norme che ci espongono a procedure d’infrazione europea e contenziosi che possono durare anni – bloccando proprio quell’opera che volevamo accelerare. È come correre verso un semaforo rosso per arrivare prima e finire tamponato all’incrocio.

Quando il Controllo Diventa Facoltativo

Il sistema dovrebbe funzionare così: il governo propone, il Parlamento approva, la Corte dei Conti verifica che i soldi pubblici vengano spesi secondo legge. Pesi e contrappesi. Democrazia 101.

Ma c’è una via d’uscita: la registrazione “con riserva”. In teoria serve per situazioni eccezionali, quando l’urgenza prevale sui dubbi formali. In pratica? Basta dire “interesse pubblico superiore” e il gioco è fatto.

Ora, io capisco l’emergenza. Se domani scoppia una guerra o c’è un terremoto, ok, saltiamo qualche passaggio burocratico. Ma un ponte che è sulla carta dal 1968? Che urgenza c’è? Che interesse pubblico superiore giustifica saltare le norme europee sugli appalti?

E soprattutto: quando tutto diventa “interesse pubblico superiore” – ogni ponte, ogni autostrada, ogni grande opera – il controllo è ancora un vincolo o solo teatro? Un copione che recitiamo per far finta di avere checks and balances?

Penso alla responsabilità politica. Il governo dice: “ce ne assumiamo la responsabilità”. Bellissimo. Ma funziona così? Un governo annuncia l’opera, un altro (magari di colore diverso) forse la completa, i costi lievitano, i tempi si dilatano, qualcosa va storto. Chi paga? Nessuno. La responsabilità politica senza conseguenze è solo un’etichetta vuota.

Giorgia Meloni ha parlato di “invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento“. Matteo Salvini ha definito la bocciatura “scelta politica più che giudizio tecnico“. L’opposizione urla “deriva autoritaria” e “porsi al di sopra delle leggi“.

Io ascolto questo ping-pong e penso: state parlando di due Italie diverse. Una in cui la sovranità sta nel mandato elettorale del governo. L’altra in cui la sovranità sta nel sistema di controlli istituzionali. E non riuscite nemmeno a mettervi d’accordo su quale delle due stiamo abitando.

Il Peso delle Fondamenta: Cosa Dice Chi Misura i Conti

La Corte dei Conti non è un organo politico. È un organo tecnico. Il suo compito non è dire se il ponte è una bella idea (quello lo decide la politica). Il suo compito è verificare che la procedura rispetti le norme.

E i magistrati contabili hanno detto: guardate, il contratto con Webuild è del 2012. All’epoca i costi erano poco più di 2 miliardi. Oggi siamo a 13,5. Le norme europee – non nostre opinioni, norme UE vincolanti – dicono che quando i costi superano il 50% del bando originale devi fare una nuova gara. Per garantire trasparenza. Per garantire concorrenza.

Non è un’opinione. È Direttiva 2014/24/UE, recepita in Italia. Ignorarla ci espone a procedure d’infrazione che possono durare anni. E indovina cosa succede quando Bruxelles apre una procedura d’infrazione su un’opera da 13,5 miliardi? Si blocca tutto. Proprio quello che volevamo evitare accelerando.

Poi c’è la questione ambientale. Il governo ha tirato fuori la procedura IROPI: “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico prevalente“. Ok, capita. Ma ha anche classificato l’opera come “strategica per la difesa militare” per superare alcuni vincoli.

Aspetta. Militare? Un ponte che serve a far passare macchine e treni tra Calabria e Sicilia è strategico per la difesa militare?

Io non so se sia legittimo. Forse sì. Ma trasparente? No. Un precedente pericoloso? Assolutamente sì.

Perché se domani ogni grande opera può diventare “militare” quando serve, se ogni progetto può invocare interessi pubblici superiori per aggirare controlli ambientali e amministrativi, allora non abbiamo più regole. Abbiamo eccezioni permanenti. E un sistema basato su eccezioni permanenti è un sistema senza regole.

Ponti che Non Tengono: La Lezione delle Grandi Opere Italiane

Ho visto questo film troppe volte. L’Italia ha una lunga storia di grandi opere. Alcune sono riuscite: l’Autostrada del Sole (un miracolo), l’Alta Velocità (con tutti i suoi problemi, ma funziona), il MOSE (operativo dopo 17 anni di ritardi e 6 miliardi di costi aggiuntivi, ma alla fine funziona).

Altre sono affondate o ancora in limbo: la Salerno-Reggio Calabria, simbolo di cantieri infiniti e infiltrazioni criminali; il Terzo Valico, partito nel 2013 e ancora incompiuto; decine di metropolitane urbane bloccate per decenni.

Il pattern è sempre lo stesso. Te lo racconto come una ricetta:

  1. Annuncio enfatico (conferenza stampa, rendering bellissimi, futuro radioso)
  2. Progetto ambizioso (sarà un’opera da primato mondiale!)
  3. Sottostima dei costi (costerà pochissimo, fidatevi)
  4. Iter accelerato (facciamo in fretta, è urgente!)
  5. Opposizioni locali (comitati, esposti, ricorsi)
  6. Contenziosi amministrativi (TAR, Consiglio di Stato, Corte dei Conti)
  7. Lievitazione dei costi (ops, servono il triplo dei soldi)
  8. Cambio di governo (il nuovo esecutivo ha altre priorità)
  9. Revisione del progetto (si ricomincia da capo)
  10. Nuovi ritardi (repeat)

Alla fine, se l’opera viene completata, costa tre-quattro volte il previsto e viene inaugurata con dieci-quindici anni di ritardo.

Il ponte sullo Stretto ha già fatto metà del percorso. Mancano i cantieri (ancora), ma abbiamo già avuto:

  • Annuncio enfatico (più volte)
  • Sottostima dei costi (clamorosa: da 2 a 13,5 miliardi)
  • Iter accelerato (decreto-legge 35/2023)
  • Contenziosi (Eurolink e ora Corte dei Conti)
  • Lievitazione dei costi (vedi sopra)

Cosa mi fa pensare che stavolta sarà diverso?

Forse la tecnologia. Il ponte sarebbe un’opera da record mondiale: campata unica di 3.300 metri, piloni alti 382 metri (più alti della Torre Eiffel), resistenza sismica in una zona ad altissimo rischio. Webuild ha l’esperienza tecnica per farlo.

Ma l’ingegneria non è il problema. Il problema è il modello di governance delle grandi opere italiane: frammentazione delle competenze, sovrapposizione di controlli, mancanza di accountability chiara, potere di veto diffuso, politicizzazione di ogni singolo passaggio.

Non è un problema del ponte. È un problema di come funziona (o non funziona) l’Italia.

L’Elefante nella Stanza: Il Sud e l’Infrastruttura Fantasma

C’è una cosa che nessuno dice ad alta voce, ma che tutti pensano. Il ponte viene venduto come “opera di coesione nazionale“, che finalmente collegherà la Sicilia al continente. Unità! Progresso! Futuro!

Ma facciamo una cosa. Andiamo in Sicilia. Prendiamo un treno regionale a binario unico che va a 40 km/h. Guidiamo su strade interne piene di buche. Parliamo con chi vive in zone dove l’acqua arriva a giorni alterni (dispersione media del 50% dalle reti idriche). Proviamo a lavorare da remoto in un’area senza banda larga.

Poi torniamo e parliamo del ponte.

La Sicilia ha problemi infrastrutturali enormi. E noi stiamo per investire 13,5 miliardi in un’unica grande opera simbolica, mentre manca l’infrastruttura capillare che servirebbe a connettere davvero l’isola. Non le città principali – quelle sono già collegate dai traghetti. Parlo dei paesi interni, delle zone rurali, delle aree dove il divario con il resto d’Italia si misura in decenni.

Non è detto che il ponte generi sviluppo. Anzi, c’è il rischio opposto: che acceleri l’esodo. Che renda ancora più facile uscire dalla Sicilia invece di restarci. Che diventi un’autostrada a senso unico verso nord.

Io mi chiedo: stiamo costruendo il ponte perché serve o perché è simbolico?

Se la risposta è la seconda, allora siamo nel campo della retorica politica, non della pianificazione infrastrutturale. E spendere 13,5 miliardi per un simbolo è un lusso che forse – forse – l’Italia non può permettersi.

Registrato Con Riserva, Ovvero L’Arte del Sì-Ma-No

Il meccanismo della registrazione “con riserva” funziona così: la Corte dice “ho dei dubbi”, il governo risponde “me ne assumo la responsabilità politica”, la Corte registra comunque.

Sulla carta è un compromesso ragionevole tra controllo tecnico e primato democratico. Nella pratica? Neutralizza i controlli mantenendo l’apparenza di rispettarli.

È il sistema italiano in miniatura. Tutto funziona e niente funziona. I controlli esistono, ma si aggirano. Le regole valgono, ma sono flessibili. La responsabilità viene invocata, ma raramente ha conseguenze.

È sofisticato. È raffinato. Attraversa governi, decenni, crisi. Ma produce decisioni lente (il ponte è sulla carta dal ’68) e spese alte (sempre multipli del previsto).

Il ponte sullo Stretto porta questo modello al parossismo. Sessant’anni di carta. Tre morti e resurrezioni. Bocciatura della Corte ma si va avanti. Costi quintuplicati ma contratto intoccabile. Problemi ambientali risolti dichiarandolo militare.

È perfetto. È nostro.

Simbolo o Infrastruttura?

Domanda finale, quella che mi faccio da giorni: il ponte serve all’Italia?

Dal punto di vista ingegneristico, sarebbe un record mondiale. Da quello economico, le stime di traffico sono controverse (la Corte le contesta). Da quello ambientale, l’impatto è rilevante. Da quello finanziario, parliamo di 13,5 miliardi che non vanno altrove – non vanno alle ferrovie siciliane, non vanno alle scuole, non vanno alla sanità, non vanno alle reti idriche.

Ma forse la domanda giusta non è se serva. È se vogliamo costruirlo nonostante i dubbi, e a quale prezzo istituzionale.

Perché possiamo farlo, certo. Basta invocare gli interessi superiori e aggirare i controlli. Si è sempre fatto. L’Italia è un paese creativo, abbiamo mille modi per aggirare i nostri stessi vincoli.

Ma ogni volta che sacrifichiamo trasparenza e legalità sull’altare della Grande Opera, erodiamo un pezzo del sistema che protegge le risorse pubbliche. E quel sistema – fatto di controlli, contrappesi, verifiche, trasparenza – è più fragile di quanto pensiamo.

Il ponte può costare il triplo. Può non essere mai completato. Può pure crollare (spero di no, ma statisticamente le grandi opere hanno sempre imprevisti).

L’architettura istituzionale che stiamo smontando per costruirlo, invece, non ha campate di riserva. Quella crolla una volta sola.


Riferimenti

  • Il Fatto Quotidiano (29 ottobre 2025), “La Corte dei conti boccia il progetto del Ponte sullo Stretto: troppi dubbi sui costi”
  • Open (30 ottobre 2025), “Perché la Corte dei Conti boccia il Ponte sullo Stretto, che c’entra Webuild e cosa succede adesso”
  • Sky TG24 (29 ottobre 2025), “Corte dei conti dice no al visto di legittimità per il Ponte sullo stretto di Messina”
  • Euronews (30 ottobre 2025), “La Corte dei Conti boccia il Ponte sullo Stretto di Messina, Meloni convoca riunione d’urgenza”
  • Economia Italia (30 ottobre 2025), “L’Odissea del Ponte sullo Stretto di Messina: Cronologia, Costi, Burocrazia e la Strada Verso il 2032”
  • Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa agli appalti pubblici
  • Decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35, Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria
  • Delibera CIPESS n. 41/2025 (6 agosto 2025), Collegamento stabile tra Sicilia e Calabria: assegnazione risorse FSC

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