Quando i Talebani Scoprirono che Internet Non Si Spegne Come una Lampadina

Il blackout afghano è durato ~48 ore: abbastanza per paralizzare banche, voli e ospedali. E per mostrare i limiti del controllo “a interruttore”

1 ottobre 2025, Kabul – Clacson impazziti, gente per strada che esulta, ristoranti che tornano a vivere. No, non è caduto il regime. È tornato internet. Dopo circa 48 ore di blackout quasi totale, i talebani hanno dovuto fare marcia indietro sulla loro crociata contro l’“immoralità digitale”, scoprendo sulla propria pelle una verità che anche a San José conoscono bene: non si può semplicemente staccare la spina.

Dati chiave (29 settembre–1 ottobre 2025)

  • Connettività nazionale crollata al ~14% dei livelli ordinari (NetBlocks)
  • UNAMA (Missione ONU) chiede ripristino immediato per impatti su banche, sanità, aviazione
  • Ritorno graduale di internet e telefonia il 1° ottobre, con scene di festa a Kabul

L’esperimento teocratico più breve della storia

Il 29 settembre, su ordine del leader supremo Haibatullah Akhundzada, l’Afghanistan si è risvegliato quasi totalmente disconnesso. Qualche sacca di segnale ha retto qua e là e la telefonia mobile è rimasta intermittente, ma per la stragrande maggioranza il paese è andato al buio. L’argomento ufficiale: combattere il “vizio” online. Ma diverse fonti indicano motivi più prosaici: controllo politico e timori di tracciamento di figure chiave da parte di intelligence occidentali. Non solo moralismo, dunque: anche paura e volontà di stringere la presa.

Nel 2025, però, internet non è un optional. È l’ossatura invisibile di tutto il resto.

Le conseguenze sono state immediate e concrete (come riportato da UNAMA e dalle principali testate):

  • voli cancellati o dirottati,
  • banche paralizzate,
  • ospedali senza accesso a dati clinici,
  • rimesse dall’estero bloccate,
  • mercati congelati,
  • una nazione sprofondata nel silenzio.

Il mercato è completamente congelato. È come una vacanza, sono tutti a casa”, ha detto con ironia involontaria il ristoratore Mohammad Tawab Farooq [fonti stampa]. Peccato fosse una vacanza forzata che nessuno poteva permettersi.


Il paradosso del fondamentalista connesso

Anche i talebani dipendono da internet: per contatti informali con l’estero, coordinamento tra province, propaganda. Governare nel 2025 senza connettività è come guidare bendati: puoi crederci ideologicamente, ma la fisica non collabora.

C’è poi la componente di sicurezza: figure del regime temono il tracciamento via smartphone. Così spegni la rete per “proteggerti”, ma paralizzi lo Stato e mostri al mondo la tua vulnerabilità.

La scusa ufficiale? “Vecchi cavi in fibra ottica da sostituire”, tesi rilanciata e poi corretta da varie redazioni. Che coincidenza: cavi “vecchi” ovunque proprio nel giorno del decreto sull’immoralità. La fisica dei cavi è misteriosa.


Generazioni disconnesse (e incazzate)

Anche i giovani talebani sono cresciuti con internet. Non è più il 1996. Nei villaggi ci sono smartphone, nelle case niente più linee fisse. Una maestra trentenne di Kabul lo riassume bene: “È una sensazione strana essere senza telefono. Nessuno ha più linee fisse, e comunque anche quelle non funzionavano” [cronache locali].

Per milioni di afghani nella diaspora, internet è la famiglia. Non è solo un mezzo: è la condizione perché quel legame esista.


La festa più triste del mondo

Il 1° ottobre la connessione torna a salire e Kabul esplode di sollievo: clacson, strade piene, ristoranti che riaprono. “La città è tornata a vivere”, dice Farooq [stampa italiana]. Non mancavano le persone: mancava la trama fittissima di comunicazioni che tiene insieme una società.

La giornalista Wahida Faizi, dall’Europa, coglie l’essenza: “Ogni sera la voce di mia madre e mio padre portava pace al mio cuore… Oggi ho capito che anche un internet difettoso era una benedizione” [interviste].


L’impossibilità del ritorno (o quasi)

Non si disfa la modernità: spegnere internet significa spegnere tutto il resto. Negli anni ’90 l’economia poteva arrancare senza bit; oggi no. Anche chi non “usa” la rete dipende da un ecosistema dove altri la usano per pagamenti, sanità, rimesse, mercati.

Ma attenzione: dire che “non puoi opprimere internet” è ingenuo. Si può, solo che il blackout nazionale è lo strumento più rozzo e costoso. Esistono metodi più “chirurgici”: throttling (rallentamento forzato), filtri su piattaforme o parole-chiave, blackout mirati per aree o orari. Meno spettacolari del pulsante on/off, più sostenibili per chi governa — e proprio per questo più insidiosi.

Il regime potrebbe passare dal martello al bisturi. Non perché più giusto, ma perché meno autolesionista. L’opt-out totale è un’illusione; il controllo selettivo, purtroppo, molto meno.


Epilogo: chi ha vinto?

Nessuno. I talebani hanno mostrato potere e debolezza: possono spegnere, ma non governare senza paralizzarsi. La popolazione ha festeggiato il ritorno di una dipendenza che non può perdere. Il resto del mondo ha visto che internet non è “un’infrastruttura tra le altre”: è il linguaggio con cui una società esiste.

La libertà, però, non è tornata. E la lezione davvero inquietante è che anche i regimi imparano: dagli spegnimenti totali ai controlli selettivi. Meno visibili, più sostenibili, ugualmente oppressivi.

Puoi usare internet per opprimere, e puoi opprimere internet — ma solo con precisione chirurgica invece che con l’accetta. Il fallimento di queste 48 ore non è la fine: è l’inizio della sua evoluzione.


Riferimenti:

Nota sull’élite connessa: Diplomatici e alcune ONG hanno mantenuto accesso tramite connessioni satellitari durante il blackout – un dettaglio che evidenzia come il controllo digitale colpisca selettivamente chi non ha alternative tecnologiche.

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