Diario Ucronico – Martedì 2 Settembre
Un mondo dove femminismo e diritti LGBTQ+ iniziarono un secolo prima
Martedì 2 Settembre
Martedì mattina e il pacco HelloFresh era già arrivato. Tre pasti programmati per questa settimana: oggi pollo con dadolata di verdure e yogurt. È comodo questo servizio, anche se mia nonna Enrichetta si rivolta nella tomba ogni volta che uso ingredienti pre-porzionati. “Ai miei tempi,” diceva sempre, “una brava persona di casa doveva saper cucinare a occhio.” Ma lei era cresciuta quando ancora si facevano distinzioni stupide su chi doveva occuparsi della cucina.
La cosa buffa è che mia nonna, nata nel 1925, era comunque più progressista dei suoi genitori. Mi raccontava sempre di sua nonna Maria, che nel 1890 era stata tra le prime donne ad aprire un’attività commerciale senza dover chiedere il permesso al marito. “Tempi duri,” diceva la nonna, “ma finalmente stavamo conquistando quello che ci spettava.” Strano pensare che centocinquant’anni fa si dovesse ancora “conquistare” il diritto di lavorare.
In ufficio ho presentato la solita AIWeekly con le notizie di questa settimana. OpenAI che lancia nuovi modelli, Google che risponde con Gemini avanzato, i soliti aggiornamenti su regolamentazioni e bias algoritmici. Chiara, la mia collega che si occupa di diversity & inclusion, ha fatto notare che finalmente i dataset di training stanno diventando più rappresentativi. “Ci sono voluti anni,” ha detto, “ma ora abbiamo parità di genere anche nei dati che alleniamo le AI. Mio bisnonno si era battuto proprio per questo agli inizi del Novecento – diceva che se non rappresenti tutti nelle tue statistiche, poi escludi tutti dalle tue soluzioni.”
Nel pomeriggio ho prenotato la pulizia dentaria per la settimana prossima. La dottoressa Mariani, che mi segue da anni, sta per andare in pensione. Ha settant’anni suonati e mi ha sempre colpito come sia riuscita a diventare odontoiatra in un’epoca dove – mi diceva – “eravamo ancora poche, ma non più rarità”. Sua madre era già stata medico negli anni ’40, quindi aveva avuto un modello. “La strada era già spianata,” mi spiegava sempre, “ma bisognava comunque camminare con le proprie gambe.”
Passando in farmacia per le medicine di Marco ho incontrato la signora Bertolini, la farmacista storica del quartiere. Ultraottantenne, ancora in attività. Mi ha chiesto come stava mio marito e se ci stavamo organizzando per le vacanze autunnali. “Voi giovani siete fortunati,” mi ha detto come sempre. “Ai miei tempi c’erano ancora famiglie che facevano storie per i matrimoni non tradizionali. Io e la mia Carla abbiamo dovuto aspettare i trentacinque anni per sposarci, nel 1979. Ma almeno c’era già il diritto, grazie alle battaglie dei nostri nonni.”
Mi ha sempre colpito questa cosa: nelle foto di famiglia della signora Bertolini e della sua Carla ci sono sempre i parenti di entrambe le parti. Niente drammi, niente rotture. Come se fosse la cosa più normale del mondo. Probabilmente lo era, per loro.
Alla Coop ho incontrato Giuseppe, il mio amico che ha l’orto fuori città. Mi aveva portato le pere che aveva promesso la settimana scorsa. “Quest’anno sono venute benissimo,” mi ha detto. “Merito di mia moglie Lucia che ha studiato agronomia. Io sono ancora fermo ai metodi di mio padre, ma le nuove tecniche di coltivazione sostenibile le sa solo Lucia.”
Abbiamo chiacchierato un po’ di orti urbani. Mi ha raccontato che sua figlia Eleonora, che ha appena finito il liceo, vuole fare ingegneria aerospaziale. “Le ho detto che è un settore difficile,” mi ha spiegato, “non per i pregiudizi – quelli sono spariti da un pezzo – ma perché è matematicamente molto impegnativo. Ma se è quello che vuole fare… Mia bisnonna nel 1920 diceva sempre: ‘L’importante è che abbiate le stesse opportunità, poi ognuno scelga secondo le proprie attitudini.’”
La pizza gorgonzola e cipolle della pizzeria sotto casa era perfetta. Il pizzaiolo, un ragazzo sui trent’anni che si chiama Alessandro, mi ha chiesto come procedeva il lavoro nell’informatica. “Mia madre dice sempre che quando era giovane lei, negli anni ’80, l’informatica era ancora un settore molto maschile. Ora invece mi sembra abbastanza equilibrato, no?”
“Più o meno,” gli ho risposto. “Dipende dalle specializzazioni. Ma sì, non è come una volta.”
“Meno male,” ha detto. “Sarebbe stato stupido perdere metà dei cervelli solo per pregiudizi assurdi.”
A casa Marco aveva già apparecchiato con le candele. È una nostra tradizione del martedì sera, iniziata per scherzo anni fa e poi diventata fissa. “Come le vecchie coppie,” scherza sempre. Ma in realtà ci piace questa routine. Durante la cena mi ha raccontato della riunione condominiale di oggi pomeriggio.
“Si è discusso delle nuove regole per gli spazi comuni,” mi ha detto. “La signora Del Prete ha proposto di riservare alcune fasce orarie della palestra condominiale solo alle donne. Alcuni hanno storto il naso, dicendo che erano discriminazioni al contrario. Ma poi la dottoressa Antonelli ha spiegato che certe separazioni servono per garantire l’accesso effettivo a tutti. ‘Non è segregazione,’ ha detto, ‘è strategia per l’inclusione.’”
“E come è andata a finire?”
“Approvato. Ma mi ha colpito che la dottoressa Antonelli conoscesse così bene la storia di queste battaglie. Ha citato casi del 1850, quando le prime palestre femminili furono aperte a Milano. Roba di centocinquant’anni fa, ma lei se la ricordava perfettamente.”
Dopo cena abbiamo visto il solito film su Netflix. Una commedia francese degli anni ’90, ambientata in un’epoca dove – secondo la trama – esistevano ancora divisioni di ruolo molto rigide tra uomini e donne. Film d’epoca, insomma. Divertente ma un po’ irrealistico: facevano sembrare che nel 1995 ci fossero ancora grandi problemi di parità di genere.
“Ma davvero era così arretrato il ’95?” ha chiesto Marco durante una scena particolarmente esagerata.
“Non credo,” ho risposto. “Forse in alcuni posti del mondo, ma qui in Europa… Mia madre era già dirigente in banca negli anni ’90. E i matrimoni gay erano legali da almeno vent’anni. Il film esagera per effetto comico.”
Prima di andare a dormire ho controllato le email di lavoro. Un messaggio dalla responsabile delle risorse umane sul nuovo piano per la parità salariale. “Come sapete,” scriveva, “la nostra azienda ha sempre mantenuto standard di equità molto alti, in linea con le migliori tradizioni del settore. I dati di quest’anno confermano il gap salariale sotto l’1%, ben al di sotto della soglia di tolleranza del 2% stabilita dalle normative europee.”
Ho pensato a cosa avrebbe detto mia bisnonna di tutto questo. Lei che negli anni ’20 lottava per avere il diritto di voto. Probabilmente sarebbe stata felice di vedere che le sue battaglie avevano portato frutti così consolidati.
Ma forse si sarebbe anche stupita di quanto diamo per scontato quello che per lei era rivoluzionario.
Marco si era già addormentato quando sono andato a letto. Domani è mercoledì, giornata piena. Ma almeno ho il pollo avanzato di stasera per il pranzo.
Fine giornata. Il nuovo dentifricio che ho preso sembra promettente. E domani mattina devo ricordarmi di chiamare mia cugina Elena per il compleanno – fa quaranta anni e ha appena ottenuto la promozione a direttrice generale. La prima della famiglia, ma sicuramente non l’ultima.
La Normalizzazione dell’Impossibile
Quando l’ucronia dei diritti civili diventa pedagogia del progresso
Il meccanismo della storia consolidata
Il quarto giorno rappresenta un salto qualitativo nell’uso pedagogico dell’ucronia. Se i giorni precedenti giocavano con paradossi visibili e contraddizioni manifeste, qui l’artificio narrativo diventa quasi impercettibile. L’anomalia storica – un secolo di anticipo per femminismo e diritti LGBTQ+ – è così perfettamente naturalizzata che rischia di passare inosservata.
È precisamente questa invisibilità a renderla pedagogicamente potente.
L’archeologia delle conquiste non avvenute
“Mia bisnonna nel 1920 diceva: ‘L’importante è che abbiate le stesse opportunità’”: Una frase che nel nostro mondo sarebbe storicamente surreale (nel 1920 le donne italiane non avevano nemmeno il diritto di voto), ma qui viene presentata come ovvietà familiare.
“I matrimoni gay erano legali da almeno vent’anni” negli anni ’90: Nel nostro mondo i matrimoni gay in Italia sono legali solo dal 2016, ma nel mondo del diario erano già normali negli anni ’70. Un anticipo di mezzo secolo presentato come fatto banale.
La farmacista e “la sua Carla” che si sposano nel 1979: Matrimonio gay in Italia nel 1979 raccontato con la naturalezza di chi descrive una spesa al supermercato. L’assurdità storica diventa routine narrativa.
Il genio della sottrazione drammatica
A differenza delle ucronije catastrofiche o utopiche, questa non aggiunge elementi spettacolari ma sottrae drammaticità da questioni che nel nostro mondo sono ancora controverse. È ucronia per sottrazione: non ci sono astronavi o imperi alieni, ma semplicemente l’assenza di conflitti che nel nostro mondo consideriamo inevitabili.
L’effetto pedagogico è spiazzante: invece di stimolare riflessioni attraverso lo shock del diverso, lo fa attraverso la normalità dell’ovvio.
La trappola della naturalizzazione
Il rischio più insidioso di questa ucronia è l’effetto “naturalization”: far sembrare che il progresso sociale sia inevitabile e lineare. Se nell’ucronia i diritti civili si sono sviluppati un secolo prima, l’implicazione è che era solo questione di tempo.
Ma questo nasconde la contingenza delle conquiste storiche. I diritti civili non sono evoluzione naturale ma risultato di lotte specifiche, conflitti reali, resistenze concrete. Normalizzarli troppo rischia di oscurare il lavoro politico necessario per conquistarli.
Il paradosso della memoria storica
Il film francese degli anni ’90 come “storia antica”: Il protagonista e Marco guardano un film che mostra problemi di parità di genere nel 1995 e lo trovano irrealisticamente arretrato. Per loro, i problemi di genere erano già risolti negli anni ’70.
È un meccanismo di spostamento temporale geniale: quello che per noi è cronaca recente (i problemi di parità negli anni ’90) per loro è archeologia sociale. Ma rivela anche come la nostra percezione del progresso sia relativa alla nostra timeline.
La pedagogia dell’ovvio impossibile
L’effetto didattico più potente sta nel rendere ovvio l’impossibile. Gli studenti che leggono questo diario si confrontano con:
- Un mondo dove la parità di genere è completamente naturalizzata da generazioni
- Diritti LGBTQ+ così consolidati da essere invisibili come l’aria che respiriamo
- Conquiste sociali presentate come eredità familiare invece che battaglie politiche
Il disagio cognitivo nasce dal contrasto tra questa naturalezza e la nostra realtà di conquiste fragili e sempre minacciate.
L’effetto specchio sui nostri ritardi
Implicitamente, il diario pone domande scomode:
- Perché nel nostro mondo queste conquiste sono arrivate così tardi?
- Cosa ha impedito che i diritti civili si sviluppassero prima?
- Quali resistenze hanno rallentato processi che nell’ucronia sembrano naturali?
È una forma di critica storica per contrasto: invece di dire “il nostro mondo è arretrato”, lo mostra attraverso l’evidenza di un mondo normale.
Il rischio dell’ottimismo ingenuo
La pericolosità pedagogica sta nel wishful thinking: far credere che il progresso sociale sia automatico e irreversibile. Nel mondo del diario tutto è andato bene, tutti hanno accettato i cambiamenti, non ci sono stati backlash o reazioni.
Ma nella realtà storica ogni conquista di diritti civili ha incontrato resistenze feroci, controreazioni violente, tentativi di rollback. L’ucronia rischia di oscurare questa dimensione conflittuale.
La normalità come arma pedagogica
Tuttavia, c’è un valore strategico nell’“effet de normalité”: mostrare che un mondo più giusto è possibile e vivibile. Non utopico o rivoluzionario, ma semplicemente normale.
È la risposta all’argomento reazionario “se cambiassimo X, succederebbe il caos“. L’ucronia risponde: “ecco un mondo dove X è cambiato da cent’anni e funziona benissimo“.
Il test della plausibilità alternativa
La domanda critica è: questo mondo è storicamente plausibile? Se femminismo e diritti LGBTQ+ fossero iniziati nel 1750 invece che nel 1850:
- Le resistenze sociali sarebbero state superate gradualmente?
- Le strutture economiche si sarebbero adattate diversamente?
- Le istituzioni religiose avrebbero reagito in modo diverso?
- I conflitti politici avrebbero preso altre forme?
L’ucronia funziona solo se riusciamo a immaginare percorsi alternativi plausibili, non solo risultati diversi.
L’educazione alla possibilità storica
Il valore pedagogico principale sta nell’espandere lo spazio del possibile. Gli studenti spesso percepiscono la situazione attuale come inevitabile (“è sempre stato così“, “non si può cambiare“).
L’ucronia dei diritti civili normalizzati mostra che:
- La storia avrebbe potuto andare diversamente
- I nostri problemi non sono naturali o inevitabili
- Mondi più giusti sono concretamente immaginabili
Il paradosso temporale della giustizia sociale
Il diario pone una questione filosofica profonda: se questi diritti erano giusti nel mondo ucronico del 1850, perché non lo erano nel nostro mondo reale?
È il paradosso della relativismo storico: i valori sono assoluti o dipendenti dal contesto temporale? Se la giustizia è universale, perché si realizza in tempi diversi?
La sfida dell’implementazione pedagogica
Usare questa ucronia in classe significa confrontarsi con:
- Studenti che potrebbero credere che il progresso sia automatico
- Resistenze da parte di chi vede minacciati i propri privilegi
- Semplificazioni della complessità storica reale
- Aspettative irrealistiche sui tempi del cambiamento
L’effetto “sliding doors” delle conquiste civili
Il diario suggerisce che molte delle nostre conquiste recenti avrebbero potuto essere conquiste antiche. È l’effetto “sliding doors” applicato alla storia sociale: basta spostare di poco il timing degli eventi per cambiare completamente la traiettoria.
Ma questo solleva domande sul determinismo storico: le idee hanno il loro “tempo giusto” o potrebbero emergere in qualsiasi momento se trovano le condizioni adatte?
La lezione nascosta sul privilegio
Paradossalmente, questo mondo “migliore” rivela anche come i privilegi attuali siano storicamente contingenti. Se nel mondo ucronico la parità è normale da cent’anni, significa che nel nostro mondo l’ingiustizia è stata artificialmente prolungata.
È una forma sottile di critica del privilegio: mostra che quello che alcuni considerano “ordine naturale” è in realtà disordine storico.
Conclusione: L’ucronia come pedagogia della giustizia
Il quarto giorno rappresenta la forma più sofisticata di ucronia pedagogica finora sperimentata. Non colpisce con paradossi evidenti ma seduce con la normalità di un mondo più giusto.
Il suo potere educativo sta nel rendere desiderabile invece che spaventoso il cambiamento sociale. Mostra che i diritti civili non portano caos ma pace, non rivoluzione ma evoluzione naturale.
È Pedagogia Cyborg applicata alla giustizia sociale: usa la tecnologia narrativa per riprogrammare la percezione di cosa sia normale e cosa sia possibile.
Ma richiede attenzione critica per evitare che l’ottimismo ucronico si trasformi in passività politica. Il messaggio deve essere: “questo mondo è possibile, ma richiede impegno per realizzarlo“, non “questo mondo sarebbe automatico, se solo…“.
Riferimenti
Storia dei movimenti per i diritti civili:
- Mary Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman (1792) – sui fondamenti del femminismo
- John Stuart Mill, The Subjection of Women (1869) – sulla filosofia dell’uguaglianza di genere
- Michel Foucault, History of Sexuality (1976) – sulla costruzione sociale della sessualità
Teoria dell’ucronia:
- Niall Ferguson, Virtual History (1999) – sulla metodologia controfattuale
- Geoffrey Hawthorn, Plausible Worlds (1991) – sui limiti della storia alternativa
- Catherine Gallagher, Telling It Like It Wasn’t (2018) – sulla funzione sociale dell’ucronia
Pedagogia del cambiamento sociale:
- Paolo Freire, Pedagogy of Hope (1992) – sull’educazione come pratica di trasformazione
- Henry Giroux, Teachers as Intellectuals (1988) – sul ruolo politico dell’educazione
- bell hooks, All About Love (2000) – sulla pedagogia dell’inclusione
Il quarto giorno non è solo fiction alternativa ma blueprint pedagogico: mostra che immaginare mondi migliori non è escapismo ma pratica politica. L’ucronia diventa strumento per espandere il senso del possibile e motivare l’azione trasformativa.

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