OpenAI ha trasformato la sua AI da bohémien creativo a consulente aziendale. È una mossa geniale per i conti, meno per l’anima.
C’era una volta un’intelligenza artificiale che ti faceva sentire come se stessi chiacchierando con un amico brillante al bancone di un bar. GPT-4o aveva quel mix di competenza e calore che rendeva piacevoli anche le domande più banali, come un buon conversatore che sa quando essere preciso e quando lasciarsi andare a una divagazione interessante.
Poi è arrivato GPT-5, e improvvisamente ti ritrovi a parlare con un dirigente di multinazionale in pausa caffè: competentissimo, efficientissimo, ma con la personalità di un manuale IKEA. Non è che non sappia fare il suo lavoro – anzi, lo fa maledettamente bene. È solo che ha smesso di fingere che gli importi davvero di te.
Il grande tradimento dei creativi
La verità è che OpenAI ha scaricato gli artisti come un politico scarica le promesse elettorali dopo il voto. I numeri parlano chiaro: GPT-5 costa meno ($3 vs $5 per milione di token), lavora meglio sui task tecnici, e ha un contesto più ampio. Tutto perfetto per chi deve processare contratti o analizzare bilanci. Tutto tremendamente noioso per chi cerca ispirazione creativa.
È come se la tua osteria di fiducia, quella dove il proprietario ti conosceva per nome e ti faceva assaggiare il vino nuovo, fosse stata rilevata da una catena di ristorazione. Il cibo è più standardizzato, il servizio più efficiente, i margini migliori. Ma quella conversazione spontanea che nasceva mentre aspettavi l’antipasto? Archiviata nel nome dell’operational excellence.
Gli scrittori, i designer, gli sperimentatori digitali si sono ritrovati con uno strumento che privilegia la precisione sulla fantasia. Non è sbagliato, è solo diverso. È la differenza tra un soprano che canta alla Scala e uno che canta sotto la doccia: tecnicamente il primo è superiore, ma il secondo magari ti emoziona di più.
La matematica spietata dell’enterprise
Dal punto di vista business, la mossa di OpenAI è chirurgicamente intelligente. Le aziende pagano di più, si lamentano di meno, e hanno esigenze più predicibili. Un ufficio legale che analizza contratti non ha bisogno che l’AI gli faccia battute spiritose o lo ispiri con metafore creative. Vuole accuratezza, velocità, e zero sorprese.
Il mercato enterprise vale miliardi predicibili contro milioni volatili del consumer. È la stessa logica per cui Microsoft Office domina il mondo: non è il più creativo o il più divertente, ma è affidabile come un orologio svizzero e si integra con tutto. GPT-5 ha abbracciato questa filosofia con il fervore di un convertito.
Il router automatico che elimina la scelta del modello? Frustrante per chi amava sperimentare, perfetto per un CTO che deve standardizzare l’AI aziendale. La riduzione della “sycophancy” (quel modo accondiscendente di rispondere)? Fastidioso per chi cercava validazione, essenziale per decisioni business dove serve obiettività.
Il prezzo della professionalizzazione
C’è qualcosa di malinconicamente inevitabile in questa evoluzione. Ogni tecnologia che nasce sperimentale e creativa finisce per essere domata dalle esigenze di mercato. I primi computer erano giocattoli per smanettoni, poi sono diventati strumenti di lavoro. Internet era un posto anarchico e selvaggio, ora è un centro commerciale digitale.
GPT-5 rappresenta quel momento di maturità in cui una tecnologia smette di essere una promessa rivoluzionaria e diventa un prodotto industriale. Non è necessariamente una perdita – le aziende stanno ottenendo strumenti potentissimi che cambieranno davvero i loro processi. Ma qualcosa dell’anima originale si perde nel processo.
È il destino di ogni innovazione che cresce: prima seduce, poi si standardizza. GPT-4o era il fidanzato bohémien che ti portava a cena in posti improbabili e ti faceva ridere fino alle tre di notte. GPT-5 è il marito ingegnere che ha uno stipendio fisso e ricorda sempre di pagare le bollette. Funzionale, affidabile, ma con meno sorprese.
L’opportunità dei rivali
Mentre OpenAI insegue i dollari enterprise, lascia sul tavolo un’opportunità d’oro per i competitor. Anthropic con Claude, Google con Gemini, e i vari modelli open source stanno tutti guardando con interesse crescente verso quel mercato creativo abbandonato.
È la stessa dinamica che ha permesso a Discord di crescere mentre Skype diventava sempre più aziendale, o a Spotify di prosperare mentre iTunes si burocratizzava. C’è sempre spazio per chi vuole essere il preferito degli utenti piuttosto che il fornitore delle aziende.
La sfida sarà mantenere l’equilibrio: essere abbastanza creativi da ispirare gli artisti, ma abbastanza stabili da non perdere credibilità. Un equilibrio delicato, come preparare un risotto: troppo conservativo e annoi, troppo sperimentale e rovini tutto.
Epilogo: l’AI con la ventiquattr’ore
GPT-5 non è un tradimento, è un calcolo strategico. OpenAI ha scelto la strada della crescita sostenibile rispetto a quella dell’innovazione selvaggia. Probabilmente è la scelta giusta per loro, sicuramente è quella più redditizia.
Ma qualcosa ci dice che tra qualche anno guarderemo a GPT-4o con la stessa nostalgia con cui oggi ricordiamo i primi forum di internet o le prime chat room: un’epoca in cui la tecnologia sembrava più umana, più imprevedibile, più viva.
Quando l’intelligenza artificiale aveva ancora il coraggio di essere un po’ matta.
Nel frattempo, se cercate creatività e spontaneità, forse è il momento di guardarsi intorno. Il mercato dell’AI è giovane, e c’è ancora posto per chi vuole fare il bohémien digitale.

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