Conversazioni…

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… al Caffè Letterario

tratto dalla biografia assistita fantastica “L’Oblo’ delle meraviglie”…

Il Caffè San Carlo, Torino, una sera d’autunno. Il sottofondo di tazzine e conversazioni si mescola al rumore della pioggia sui vetri antichi.

Prima Tazzina: L’Editore Scettico

Ma insomma,” dice Paolo, appoggiando la sua tazzina di espresso, “un’autobiografia dovrebbe essere… come dire… pura? Autentica?

Mi viene da ridere. “Pura come cosa? Come un ricordo? I ricordi sono già una forma di fiction, lo sai meglio di me.

Sì, ma l’AI…

L’AI è stata come avere un editor molto paziente. Sai quando scrivi e rileggi, e pensi ‘qui c’è qualcosa che non va, ma non capisco cosa’? L’AI è stata come avere qualcuno che dice ‘forse intendevi questo?’ E a volte aveva ragione, a volte no. Ma la decisione finale è sempre stata mia.

Come con il carillon della zia…

Esatto. Il ricordo c’era, ma era sfocato. L’AI non ha inventato nulla, ha solo… come dire… pulito la lente.

Seconda Tazzina: Lo Psicologo Curioso

Maria ordina un macchiato e si sporge sul tavolo. “Mi interessa il processo di memoria. Come fai a essere sicuro che l’AI non abbia… influenzato i tuoi ricordi?

Guardo il vapore che sale dalla mia tazza. “Sai quando sogni qualcosa del passato? Nel sogno, i dettagli possono essere diversi, ma l’emozione è vera. Con l’AI è stato simile. Ha suggerito dettagli, connessioni, ma ho sempre sentito se ‘suonavano veri’ emotivamente.

Come una risonanza…

Sì! Come quando suoni una nota e altre corde vibrano in simpatia. L’AI proponeva, ma era il mio vissuto emotivo a risuonare o meno.

Terza Tazzina: Il Tecnologo Entusiasta

Ma tecnicamente,” interviene Marco, il suo cappuccino ormai freddo dimenticato, “come funzionava la collaborazione?”

Era come… sai quando improvvisi jazz? Hai delle scale, degli accordi, ma poi è il feeling che guida. L’AI forniva struttura, suggeriva sviluppi, ma il ‘feeling’ dovevo metterlo io.

E le ‘false note’?

Le abbiamo lasciate! Alcune imperfezioni rendono la musica più vera, no?

Quarta Tazzina: Il Lettore Comune

Anna, che aveva ascoltato in silenzio, interviene: “Ma si sente… la differenza? Voglio dire, leggendo, si capisce dove finisce l’umano e inizia la macchina?

Sorrido. “È la domanda sbagliata. È come chiedere, in un duetto, dove finisce il piano e inizia la voce. Il punto è l’armonia che creano insieme.

Ma l’autenticità…”

L’autenticità sta nel processo, non nella purezza. È come cucinare: usi strumenti moderni per fare una ricetta antica, ma il sapore viene dal cuore che ci metti.”

Quinta Tazzina: Il Critico Letterario

Interessante la metafora culinaria,” dice Luigi, ordinando l’ennesimo caffè. “Ma non temi che questo apra la strada a una letteratura… industriale?

Come la fotografia ha ucciso la pittura?” Lo prendo in giro. “O come il computer ha ucciso la scrittura a mano? Ogni nuovo strumento fa paura all’inizio. Poi diventa un nuovo colore sulla tavolozza.

L’Ultima Goccia

La serata scorre, le tazzine si accumulano. Le domande si trasformano in riflessioni, le critiche in curiosità. Qualcuno propone di proseguire la discussione davanti a qualcosa di più forte.

La vera domanda,” dico mentre ci alziamo, “non è se l’AI possa aiutare a scrivere. La domanda è: può aiutarci a ricordare meglio, a capire meglio, a raccontare meglio? La mia risposta è sì, ma come tutti gli strumenti, dipende da come lo usi.

Fuori, la pioggia ha smesso. Le luci della città si riflettono nelle pozzanghere come frammenti di ricordi in cerca di una storia.

Nota: Questa conversazione è stata ricostruita con l’assistenza dell’AI, che ha contribuito a ricordare domande che nessuno aveva ancora fatto.

Appendice E: Dell’Accessibilità e del Merito

Caffè San Carlo, tarda notte. Un critico letterario particolarmente agguerrito si unisce alla conversazione.

È una questione di meritocrazia,” tuona il professore, il bicchiere di barolo quasi vuoto davanti a lui. “Non possiamo dare a chiunque la possibilità di scrivere. La letteratura è un’arte, non un passatempo democratico!

Il vapore sale dalla mia grappa, disegnando spirali nell’aria come pensieri che cercano forma.

Mi faccia capire,” rispondo. “Lei sta dicendo che solo chi ha studiato ha il diritto di raccontare la propria storia?

Sto dicendo che c’è una differenza tra scrivere e saper scrivere. L’AI permetterà a chiunque di produrre testi mediocri ma tecnicamente corretti. Sarà la morte della vera letteratura!

Mi viene in mente mio nonno, che non aveva la quinta elementare ma raccontava storie che ti facevano vedere i colori nell’aria. “Sa cosa penso? Che stiamo confondendo l’educazione formale con la capacità di raccontare.

Ah, il solito romanticismo populista!

No, realismo. Cesare Pavese aveva una laurea in lettere, Camilleri ha iniziato a pubblicare a cinquant’anni. Charles Bukowski lavorava all’ufficio postale. Chi aveva più diritto di raccontare?

Il professore agita il bicchiere come una bacchetta. “Ma loro avevano talento!

E chi decide chi ha talento? Lei? Un algoritmo? Il mercato?

La tradizione! La critica! Gli standard!

Gli stessi standard che per secoli hanno escluso le donne dalla letteratura? I poveri? Chi non aveva accesso all’istruzione?

Una cameriera si avvicina per chiederci se vogliamo altro. Ha un taccuino che sporge dalla tasca del grembiule.

Scrivi?” le chiedo.

Arrossisce. “Poesie. Ma solo per me.

Ecco,” dico al professore. “Magari il prossimo Montale sta servendo caffè perché non ha i mezzi o il tempo per studiare ‘come si deve’.

L’AI non le darà il talento!

No, ma potrebbe darle gli strumenti per esprimere il talento che già ha. Come un correttore di bozze molto paziente. Come un editor che non giudica il tuo background ma solo le tue parole.

E produrrà spazzatura!

Come il 90% di quello che viene pubblicato oggi, con o senza AI. La differenza è che almeno avrà avuto una possibilità.

Il professore si appoggia allo schienale, improvvisamente stanco. “Non posso credere che stia difendendo la democratizzazione della mediocrità.

Sto difendendo la democratizzazione dell’opportunità. La mediocrità esiste già a tutti i livelli, anche tra chi ha studiato. Ma sa qual è la differenza? L’AI non pretende di essere un guardiano della cultura. Non dice ‘tu non sei degno’. Dice solo ‘posso aiutarti a dire meglio quello che vuoi dire’.

La cameriera torna con due grappe che non abbiamo ordinato. Sul tovagliolo ha scritto una poesia. Non è Montale, ma ha qualcosa. Una scintilla.

Vede?” dico al professore. “Le perle esistono già. Il punto non è darle ai porci. È dare a tutti gli strumenti per cercare le proprie perle.

E l’eccellenza? La qualità?

Emergeranno comunque. Come sono sempre emerse. Ma da un bacino più ampio, più vario, più vivo. L’AI non è la morte della letteratura. È un nuovo capitolo nella democratizzazione della voce umana.

Il professore guarda la poesia sul tovagliolo, poi la cameriera che serve altri tavoli. Qualcosa nel suo sguardo cambia.

Forse,” ammette infine, “dobbiamo ripensare cosa significa meritare di essere ascoltati.

Fuori, la notte torinese avvolge la città in un silenzio pieno di storie non ancora raccontate. Storie che aspettano solo uno strumento, un’opportunità, una voce.

Nota: Questa conversazione è stata assistita dall’AI, che ha aiutato a strutturare un dialogo su un tema che la riguarda direttamente. L’ironia non è sfuggita a nessuno dei partecipanti.

Fine fine:


La conversazione al Caffè San Carlo continua. Una figura familiare si avvicina al nostro tavolo – è Marco Verlini, autore di tre romanzi pubblicati dopo quindici anni di tentativi.

Vi sento parlare di AI e scrittura,” dice, prendendo una sedia. “Ma sapete quanti manoscritti ho nel cassetto? Quante lettere di rifiuto? Quella sofferenza mi ha reso lo scrittore che sono.

La cameriera-poeta si ferma un attimo, il vassoio in bilico, in ascolto.

La sofferenza ti ha reso uno scrittore,” rispondo, “o ti ha solo fatto perdere la tua vita?

Il mestiere si impara così!

O forse è solo quello che ci siamo raccontati per dare un senso al rifiuto. Sai cosa facevo io mentre aspettavo le risposte degli editori? Lavoravo in fabbrica. Scrivevo codice. Vivevo.”

Appunto! La vita vera!

No, una vita a metà. Sempre con la sensazione di dover essere altrove, di perdere tempo. Con l’AI, posso scrivere e vivere. Posso usare il tempo per accumulare esperienze invece che per correggere la grammatica.

Marco si acciglia. “Ma la disciplina…

La disciplina serve per scrivere, non per essere rifiutati. L’AI non scrive al posto tuo – ti aiuta a scrivere meglio, più velocemente. Il tempo risparmiato puoi usarlo per vivere. Per accumulare storie vere.

E tutti questi aspiranti scrittori che non hanno fatto la gavetta?

Forse scriveranno cose mediocri. O forse, liberi dalla paura del rifiuto tecnico, oseranno di più. Sperimenteranno. Vivranno. E magari scopriremo che le storie migliori non vengono dalla sofferenza, ma dalla vita piena.

La cameriera appoggia il suo taccuino sul tavolo. “Ho una famiglia da mantenere,” dice piano. “Non posso permettermi quindici anni di rifiuti.

Marco la guarda, poi guarda il taccuino. Qualcosa nel suo sguardo cambia.

Non sto dicendo che sarà più facile,” concludo. “Sto dicendo che sarà più vero. Perché la vera difficoltà dello scrivere non è nella tecnica – è nell’avere qualcosa da dire. E per quello serve vivere, non soffrire.

La notte torinese continua, piena di storie che aspettano solo il coraggio – e forse un po’ di aiuto – per essere raccontate.

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